TEMA LIBERO – Vincitrice 2017
Non ti ho mai scritto lettere perché non avrei saputo da dove cominciare. Ogni volta che, spinta da uno slancio, avrei voluto o potuto svelare il mio bisogno di volerti bene, qualcosa del tuo carattere, delle tue scelte di vita e dei tuoi comportamenti interrompeva l’attimo che, smarrito, si ritirava in se stesso. Così trattenevo abbracci che, immancabilmente, non finivano tra le righe e nemmeno attorno al collo. In questo continuo contrasto i miei sentimenti per te sono diventati insicuri, instabili, complessi, troppo condizionati dai problemi che generavi e da quelli che rappresentavi. Però negli ultimi anni, quelli della tua malattia, sono diventata figlia di un padre che prima sapevo di avere solo occasionalmente. Se in questa sofferenza ho provato a cercare un senso, l’ho trovato nel riconoscerti come mio padre e nel far riaffiorare il mio bene per te. Questo tipo di dolore, la pena per le tue condizioni e la preoccupazione per la tua sorte hanno mitigato il passato e lo hanno messo da parte per fare spazio alla comprensione, per predisporre al perdono, per testimoniare una presenza disposta ad amare e ad aiutare. Il bisogno di volerti bene si è trasformato in spontaneità così che ora, a pochi giorni dalla tua morte, riesco a scrivere la prima e ultima lettera per te. Ora so da dove cominciare, anche se a ritroso.
Le coordinate di una vita intera si sono concentrate dentro il perimetro di una stanza d’ospedale dove ho visto il tuo sguardo svuotarsi persino di quel minimo mistero. Nell’attimo di un tempo che si compie, e che rintocca rumorosamente in un respiro, coesistono dono e abbandono; l’uno resiste e si riempie di tutta la verità che gli appartiene, mentre l’altro porta via. Nel perderti, ti ho ritrovato.
Mi hai salutato ansimando in un pianto dietro e dentro tanti baci impressi sulla mia guancia come se, piccoli e ripetuti, potessero sembrare interminabili. E hai paragonato la mia pelle a quella della mamma. Mentre ascoltavo quel pianto, precipitavo nel suo abisso, dove bruciava il mio. Solo noi conosciamo il fondale e l’addio di queste lacrime. Ora c’è la fatica del silenzio, simile a quella che rimane nella vigna appena dopo la vendemmia. Eppure si sa che a casa c’è un posto da dove ricominciare, che aspetta.
Lettera di Isabella Lanfranchi
