Lettera d’oro 2015
Lettera di Pancia
Obiettivo raggiunto per l’undicesima edizione del Festival delle lettere: lasciar scorrere le proprie emozioni su carta dando voce prima di tutto alla pancia, quella chiacchierata parte del corpo che è fonte di vita e sede di ogni sensazione più profonda. Che si trattasse di una dedica al proprio piatto preferito, il racconto di esperienze vissute visceralmente o la scelta di liberarsi di un sentimento che parte dall’interno senza passare dalla testa, inchiostro e francobollo sono stati ancora una volta gli strumenti da manovrare abilmente per candidarsi alla vittoria della Lettera d’Oro, assegnata a Caterina Baccaro.
Di seguito la sua lettera:
Mia cara pancia,
tu ed io siamo sempre andate d’accordo, sin dai primordi. Quando sono nata pesavo più di cinque chili, e tu c’entravi parecchio, tonda e soda com’eri.
Crescendo mi sono snellita, ma tu sei rimasta prominente. Quando zia Maria, la sarta della famiglia, mi misurava i vestitini, si disperava perché, anche se tagliati e cuciti con cura, si alzavano sempre davanti; lei mi diceva di tenere dentro la pancia, ma tu da quell’orecchio proprio non ci sentivi.
Il tempo è passato, sono diventata una ragazza e tu, pancia, sempre soda, ma non più prominente, quando mi sdraiavo l’estate sulla spiaggia quasi scomparivi, godendoti il sole bella spianata.
I momenti particolari fra te e me sono stati tanti: la granita di caffè al Motta di Bari dopo i trenta agli esami universitari, e con doppia panna se c’era stata anche la lode; i ricci pescati e gustati sugli scogli di Rosamarina, sciacquati nell’acqua ancora limpida di sessant’anni fa. Se poi ne avevamo pescati tanti, ti ricordi?, ci riunivamo per una spaghettata olio aglio e ricci sul tavolo di pietra sotto l’albicocco.
E i fioroni colti direttamente dai rami carichi dopo una pioggia tintinnante sulle foglie ruvide, e le pesche spaccatelle con le guance di ragazza, e i grappoli neri di ottavianello…
Non avrai certo dimenticato le gran mangiate di verdure selvatiche appena colte, di cardoncelli, di lampascioni fritti a rosa, di parmigiane di melanzane, di zucchine o di carciofi, le pucce con le cipolle, i pomodori e le olive, il pane appena sfornato dal forno a legna della casa di mare, le patate cotte sotto la cenere calda, le teglie di riso e cozze, le alici farcite, l’acquasala, le frise, i tarallini olio e vino…
Ce la siamo veramente spassata, mia cara, senza però mai eccedere, senza strafare, cercando sempre di godere delle buone cose prodotte in loco, trattate con mano leggera nella preparazione e nei condimenti.
Ora abbiamo settantacinque anni, i due figli che tu hai custodito amorevolmente per nove mesi (sono stato tra i più belli della mia vita e, per te, un trionfo, alla fine eri enorme, sembravi una mongolfiera) ora sono adulti e lontani.
Io sono caduta più volte con lesioni e fratture di costole, femori e radio.
Da un mese ti sto bucando per iniettarti ogni giorno una dose di enoxaparina sodica, perché dopo la rottura del secondo femore potrebbe partire un embolo, e allora ce ne andremmo, io e te, quindi, anche se sembri una grattugia o una faccia di bimbo con il morbillo, mi sei sempre simpatica, forse, se possibile, di più, e spero che continueremo ancora per un bel po’ il nostro sodalizio. Conviene anche a te, no?
Del resto, anche adesso che giro per casa con due stampelle, preparo ugualmente dei buoni pranzetti e non ti faccio certo mancare frutta e verdura di stagione, orecchiette, cacioricotta, pomodoro fresco e basilico del balcone, crostate di composte casalinghe, gelati, sorbetti, granite e mousse. E le serate in pizzeria con la pizza “spettacolo” o “boh”? Basta, andiamo avanti così e non rattristiamoci per il tempo che passa. Lui deve passare, è il suo compito, e noi lo lasciamo passare.
Stammi bene.
Caterina tua
