LETTERA ALLA LUCE – Vincitrice 2017
Tac.
La luce si è accesa.
Dopo nove mesi durante i quali filtrava soltanto attraverso la pelle tesa della sua pancia.
La luce finalmente. Eppure ho pianto, lacerando l’aria dell’Annunziata, sovrastando le voci bambine, i toni forti di infermieri e i bisbigli delle suore. Troppo abbagliante questo mondo, preferivo là dentro, mi cullavo nell’acqua, sentivo odori, sapori, litanie. Poi mi prendesti in braccio e mi desti il tuo seno. Cominciai ad amare quel raggio di sole che attraversava il finestrone e ci veniva addosso, formando un cerchio per noi due. Sole.
Grazie.
Tac.
La luce si è spenta.
Lei se ne è andata. Io non lo so ancora, ma è per sempre. L’avessi saputo mi sarei fissata i suoi lineamenti, per ricordarmela e sapere che faccia avrei avuto, da grande. Qui è diventato tutto buio, neanche questo io so, che il buio è la morte.
Tac.
La luce si è accesa, ma è fioca, appena quello che mi basta per sopravvivere. Succhio un altro seno, scontroso e indaffarato. Una bambina se lo contende con me. Lei vince. E’ naturale, l’altra è sua figlia, la figlia della balia. Io figlia lo sono stata per pochi giorni, appena il tempo di credere che il mondo fosse morbido e rotondo, caldo e con un buon sapore.
Tac.
Anche la luce fioca si è spenta. Questo non me l’aspettavo. Se avessi saputo pensare avrei detto – perché proprio a me, che ho fatto? E mi sarei risposta: sono stata cattiva.-
Tac.
Ecco, si riaccende.
È buona questa balia vecchia e senza latte, è troppo povera per questionare sulla paga e si accontenta. Forse, visto che non è per i soldi, ha imparato anche a volermi un po’ di bene. Ogni giorno risplende di più. Pasquale, che è grande, mi tiene in braccio, e tanti anni dopo me lo racconterà.
Tac.
Il buio assoluto
Perché siete venuti a prendermi?
Dove mi portate adesso che il buio sta diventando più buio e si trasforma in panico, quello che non mi lascerà mai più, anche quando scriverò a Cara Adozione, con l’alogena sulla scrivania. Sono piccola io, non ce la posso fare tra tutte queste interruzioni di corrente, lasciate che mi trascini via una corrente vera, meglio la fine piuttosto di tutti questi tac all’improvviso.
Tac.
Ehi, piano! Gli occhi non sono abituati.
Troppi sorrisi, troppi abbracci, troppi giocattoli, troppa luce.
Perché dovrei credere che è vero e che dura? Perché dovrei lasciare la mia mano nella vostra e chiamarvi mamma e papà? Io lo so che poi ne arriva un altro, di tac. Questa volta non mi imbrogliate.
Vedo già la tua mano sull’interruttore del sole. Sei pronta a spegnerlo, mamma, non ce la fai più. Del resto perché dovresti? Non sono buona, non sono bella, non sono tranquilla, non sono nemmeno tua figlia.
Accidenti mamma! Ti sei solo arrabbiata, ma la luce c’è ancora, e anche tu, ci sei ancora. Sempre insieme noi tre, litigiosi, impauriti, stanchi, orgogliosi, stretti fortissimo nello stesso cerchio luminoso. Sarebbe bello non avercelo dentro ancora il buio.
A volte la linea curva che accoglie il nostro abbraccio mi ricorda qualcosa di estremo e lontano, e allora le lacrime scendono senza avvertirmi, per un dolore refrattario a qualsiasi balsamo, un dolore puro, intero, senza sconti, infinito, invasivo, totale. Ma non so quale contorni avesse, perché la foto non l’ho fatta.
Non ne ebbi il tempo.
Tac.
Lettera di Emilia Rosati
