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2005 | Lettera al mio nemico

Wanda De Giorgis

Lettera vincitrice nella categoria Premio AGIF.

Caro Giorgio,

ieri mi hai detto che non credi a niente e a nessuno. A diciotto anni! Mi hai detto anche che il mio idealismo è stupidità bella e buona. Che io, sempre chiusa dentro casa, non so niente e niente capisco. Da anni si sente dire per radio, alla televisione, nelle conferenze, si legge nei libri di psicologia che è l’amore che salva i figli, l’amore dà loro sicurezza e fiducia. Mi esamino e poiché so che il mio amore non ti è mai mancato, (come non è mancato ai tuoi fratelli) che ti ho dato tutto quel di cui era capace il mio cuore, poiché sempre vigile è stato il mio pensiero, anche se ti ho lasciato camminare presto con le tue gambe, un po’ deliberatamente, un po’ per forza di cose, mi chiedo: ti ho amato così male? Oppure è stato negativo il mio esempio di donna sempre presa nelle faccende domestiche, nella cura della vostra salute malferma, nel conteggio dei soldi che devono bastare fino al ventisette, sempre troppo ansiosamente tesa ad attutire i contrasti, decisa a tenere insieme questa famiglia di cinque persone dall’equilibrio difficile? Negativo tutto questo? Tu del mio impegno di ogni giorno (è la madre che gestisce i figli, le loro irrequietezze, le tensioni che subiscono) hai visto solo la meschinità, il tenere, secondo te, il piede in due scarpe. Da una parte voi tre figli, dall’altra vostro padre, Preferiresti una posizione chiara, senza compromessi. Piacerebbe anche a me, ma questo “lusso” non me lo posso permettere e, si sa, il buon senso non produce eroi. Forse se meno incollata a voi, avessi seguito le mie aspirazioni personali (ne avevo, ne ho ancora) e cercato fuori quel che in casa non c’era, oggi non diresti: “non credo a niente e a nessuno”. Però è soltanto per quel che tu chiami il mio stupido idealismo cristiano, che ogni giorno trovo la forza di rimboccarmi le maniche e di ricominciare, malgrado tutto. Giorgio mi ricordo di te piccino, tre o quattro anni, il tuo sguardo bello, limpido, fiducioso, innamorato della tua mamma che solo per qualche giorno avevi lasciato… e vedo il tuo sguardo di oggi irridente e cinico che da solo parla per te. Non accetti consigli, non chiedi, decidi e informi. Ti guardo dalla finestra mentre te ne vai. Le mani in tasca. Cammini in fretta, piuttosto curvo. Fischietti. Hai un atteggiamento noncurante. Strafottente? Mascheri così le tue insicurezze? Ripenso a quando per questa stessa strada ti vedevo correre per andare all’oratorio a giocare a pallone. Eri allora il mio bambino bravo a scuola, il mio bambino buono, saggio e responsabile che si prendeva cura della sorellina. Tremavo per la tua salute, per la brutta malattia che ti aveva colpito da piccolo. Temevo che quel gioco potesse nuocerti, però non te lo proibivo, come avrebbe preteso tuo padre anche lui sempre troppo in ansia per te, perché pensavo che per evitare un male fisico te ne avrei fatto un altro più grave costringendoti in casa lontano dai tuoi amici. Giorgio quali bellezze in te ho ferito, che male ti ho fatto perché ora mi parli con tanta amarezza? Che delusione hai patito per causa mia? Tutto il mio bene ha dato questo risultato? Certo non sono la mamma perfetta che avrei voluto essere. Sono quel che ho vissuto, fatto, pensato e amato nella mia non sempre facile vita. Certo ho sbagliato. Chi mi ha insegnato a essere madre? Ognuno ha i figli che si merita. Dicono. Insieme al dolore, c’è anche uno stupore senza fine. Eppure penso che non mi resta che pazientare. Il buon seme gettato prima o poi darà i suoi frutti. Dopo il disincanto e la freddezza, dopo il silenzio dei sentimenti, riscoprirai la tolleranza, la gentilezza, il rispetto e, insieme, la capacità di capire e di amare.

Mamma

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