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2013 | Lettera di scuse

Stefania Cugnetto

Lettera finalista nella categoria Lettera a tema libero.

Lamezia Terme, 30 settembre ‘12

Caro Papà, ti scrivo oggi per la prima e l’ultima volta, ti scrivo oggi perché è il giorno dell’addio, il giorno finale.
Oggi tutti dicono: Condoglianze, una parola sola per raccontare dolori immensi, incomprensibili. Ma come si fa a racchiudere in una sola parola un’esperienza così complicata, così incasinata, così assoluta. Perché questo è: la morte è assoluta, non ti da il tempo di pensare, di capire, di accettare, è così, la morte è assoluta e assolutista. Ma una morte non è mai uguale ad un’altra, come mai una vita è uguale ad un’altra. È così per me, per la tua morte, per le mie sensazioni, per il mio dolore,. Ho immaginato milioni di volte la tua morte papà, chiedendomi cosa avrei provato, come mi sarei comportata, mi sono chiesta se avrei pianto, ho sempre pensato che chi ti ha fatto piangere tanto in vita forse lo farà di meno in morte. Ma non è così, le lacrime sono scese sul viso ed hanno solcato le mie guance, mi hanno spinto a domandarmi perché. Perché piangere per un padre che non c’è mai stato? Perché piangere per un’assenza? Perché piangere per lo spettro che aveva per anni dilaniato la mia anima? Piangere perché la morte è assoluta, ora quell’assenza di anni è diventata assenza per sempre. Chi cresce senza un padre vive un lutto perenne, un lutto senza bara, un lutto senza morto. Ogni volta che succedeva qualcosa d’importante nella mia vita quell’assenza diventava così forte da diventare presenza, il silenzio che lasciava dietro di sé diventava assordante. Avrei voluto ricevere le condoglianze tante e tante volte nella mia vita, avrei voluto che le persone provassero dolore con me per la mia mancanza, per quell’assenza così evidente, così ingombrante. Evidente come un pezzo mancante, come una persona senza un arto, una mancanza che si rende insopportabile perché tutti gli altri ti ricordano che ci dovrebbe essere. Tutte le braccia del mondo ricordano ad un invalido la sua menomazione; così tutti i padri del mondo ricordano a me la mia menomazione. Quando mia sorella varcò in abito bianco la soglia della chiesa accompagnata da mio fratello, lì avrei voluto le condoglianze; quando sono stata proclamata dottoressa in una grande aula dell’Università, lì avrei voluto le condoglianze; quando mio fratello è diventato padre, lì avrei voluto le condoglianze, lì qualcuno era venuto a mancare, lì in quei luoghi, in quelle occasioni tu, papà morivi. Le nostre gioie, mie e dei mie fratelli, hanno sempre avuto il retro gusto del dolore, ogni volta che abbiamo provato delle felicità immense, in agguanto c’era il sentimento contrario, quel dolore che non è sparito mai. Molte persone mi hanno detto “alla fine era sempre tuo padre”, io mi chiedo quale senso possa avere quel “alla fine”, cosa può significare: alla fine della sua vita? Alla fine dei conti? Alla fine della mia infanzia? E tutto ciò che c’è stato in mezzo? Come può avere significato “alla fine”. Anche il mio dolore è mozzato, anche il mio dolore non è normale, lo so, lo vedo negli occhi di chi mi guarda mentre non mi dispero, lo vedo negli occhi chi mi guarda mentre osservo la bara impietrita alla ricerca di un sentimento chiaro da provare, lo vedo negli occhi di chi nota l’assenza di mio fratello. Questo è stato per noi: un sentimento a metà, un amore a metà, un odio a metà, un dolore a metà. Cos’è allora per me oggi la morte? Cosa significano oggi per me le condoglianze?
Oggi è la fine, oggi è la fine del nostro dolore, oggi tu papà muori anche per gli altri, oggi ci lasci per una reale ragione, oggi siamo orfani. Oggi piangiamo tutte le lacrime che non abbiamo pianto, oggi è il giorno del ricordo di ciò che non abbiamo avuto, oggi è il giorno in cui ci diamo una ragione, oggi è il giorno per ricominciare.

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