2018 | Lettera a chi ha cambiato la mia storia
Silvia Zucchini
Lettera vincitrice nella categoria Lettera Verde.
Calcolo i passi che ho compiuto con voi, ma perdo il conto appena mi spingo oltre la terza estate in montagna. Una mappa di rocce, ghiaioni e torrenti. Richiamo alla memoria la forma arrotondata della punta e lo spessore della tomaia, mi arriva dritto l’odore del grasso di foca, antidoto alla pioggia e al vento feroce. Siete scarponi d’altri tempi, di quelli che oggi si possono trovare esposti nei musei di montagna o nascosti nel fondo polveroso di una cantina. Nessuna tecnologia dei materiali. Cuoio marrone e lacci rossi in asole di metallo. Tecnologia della fatica e del richiamo alle altezze.
Vi ho trovato in Val Passiria, accompagnata da mio padre che la montagna la amava e la viveva. Voleva che anch’io potessi amare le cime a cominciare dai piedi. Uscii orgogliosa da quel negozio: addosso gli stessi scarponi di mio padre, solo di misura inferiore. Addosso la stessa determinazione a percorrere tracce odorose di bosco e discese rotolanti di sassi. Negli occhi lo stesso richiamo d’azzurro.
Caro papà, ti sei messo davanti a me e siamo partiti. Sulle spalle le cinghie dello zaino, ruvide e informi come il mio carattere di ragazzina. Dentro solo l’essenziale: ho imparato presto cosa tenere e cosa lasciare ad altri. Le mie orme calcavano quelle già impresse davanti a me, le mie suole dietro le tue.Il mio fedele Armadukmi chiamavi. Nella libertà conquistata da adulta, ho apprezzato i lacci che mi hanno stretto da bambina: il limite imposto da chi mi ha amato mi ha liberato la strada. Poche parole sono bastate per sapere chi ero: esortavano a salire, in bilico sotto le nuvole. Pochi gesti sono serviti per indicarmi la direzione: puntare in alto, tenendo lo sguardo fisso sui passi.
Caro papà, mi hai insegnato il ritmo da dare allo sforzo: uno due tre. Mi batteva in testa, come un tamburo: un tempo scandito tra i denti. Contavo per tre, facevo ordine nei fatti inesperti dell’inverno appena trascorso.
Uno due tre: lo studio, gli amici, i progetti.
Uno due tre: i libri letti, quelli amati e quelli allontanati.
Uno due tre: le liti, i pianti gli abbracci.
Tre tempi, come le età della vita. Tu ne hai vissuti solo due: la maturità appena raggiunta ti ha strappato dalle cime e fiaccato su un letto.
Ma il tempo dato è stato sufficiente per insegnarmi l’oriente e a camminare diritta. Non sempre ho puntato a una meta precisa; talvolta ho sviato per il gusto della sfida, altre mi sono fermata per incapacità di scelta. Poi il tonfo cadenzato dei tuoi scarponi sul sentiero mi ha riportato indietro e sono ripartita.
Caro papà, anche questa estate legherò stretti i lacci alle asole di metallo e mi metterò in cammino.
Tua Armaduk
