2014 | Lettera a un sogno
Silvana Meroni
Lettera finalista nella categoria Lettera a un ex.
Carissima Vera, da bambina desideravo tanto diventare una hostess. Chissà perché. Non avevo esperienza di viaggi in aereo, ma avevo un libro illustrato (che avrò letto mille volte, come facevo da bambina con i miei libri preferiti) in cui i due giovani protagonisti sognavano per il loro futuro professioni fra le più affascinanti e avventurose. Erano i primi anni settanta e probabilmente l’hostess e l’astronauta erano due fra le più suggestive per una bambina di provincia che sognava il mondo. Ero anche attratta dalle lingue straniere, studiavo inglese in un corso pomeridiano facoltativo alle elementari e mi sembrava di essere già a metà strada, per quanto mi sarebbe stato difficile avere l’occasione su un aereo di declamare: the pen is on the table. Che dire poi delle belle divise delle hostess? E delle acconciature dai lunghi capelli raccolti? Io che ero la terza sorella, costretta ad indossare gli abiti smessi dalle maggiori e a portare i capelli tagliati alla maschietta, come piaceva a mia madre, vedevo quegli abiti come il massimo dell’eleganza e l’opportunità di far crescere i capelli per poterli morbidamente raccogliere la mia emancipazione verso il mondo dei grandi. Ovviamente mi avrebbero assegnato la tratta Milano – New York e, almeno nei miei sogni, iniziavo a prendere il volo. Ma tu hai remato contro i miei sogni. Inconsapevolmente d’accordo, ma giorno dopo giorno mi hai mostrato con istantanee quotidiane quello che davvero mi sarebbe piaciuto diventare. Ti guardavo, ti ascoltavo, ti ammiravo, desideravo anche compiacerti ed ero contenta di sentire le tue colleghe chiamarti “Vera” diminutivo del tuo vero nome che per nulla ti s’addiceva: “Severa”. Non eri affatto una maestra severa. Ci hai insegnato molto, con i metodi che usavano allora, ma con un’arte dell’educazione che forse era innata in te. Eri un’abile narratrice di storie: le tue avventure di bambina in Piemonte e gli anni della guerra, gli anni in Sicilia, portavano atmosfere straniere a bambini di una cittadina lombarda che ancora non avevano viaggiato, se non fra le pagine dei loro libri. I tuoi capelli biondi cotonati aggiungevano una bella spanna alla tua altezza modesta e quando, nelle fredde mattine padane, toglievi il cappello appena arrivata a scuola, appoggiavi uno specchio alla tua borsetta e con un pettine a coda ti sistemavi la pettinatura. Poi, sopra la tua sobria eleganza, indossavi un grembiule carta da zucchero che tu, chissà perché, chiamavi “foglia di verza”. Erano gesti gentili e decorosi che caratterizzavano anche il tuo modo di rapportarti con noi bambini. Ho sempre intuito un grande rispetto per l’infanzia nel tuo modo di insegnare ed ora che anch’io sono una maestra, è questo rispetto che non dimentico mai. E quindi, cara mia ex maestra, hai piano piano scalfito il mio sogno di volare per lavoro, facendomi decollare verso la passione per la scuola, verso la quale davvero il mio futuro ha preso il volo. Non mi sono mai pentita e ti ringrazio. Sorrido quando siglo i lavori dei miei alunni con un SM che mi esce dalla penna rossa istintivamente identico al tuo, Severa Maltese, cara ex maestra.
Ti arrivi la mia cordiale riconoscenza, con affetto.
