2007 | Lettera al genio della lampada
Sebastiano Milazzo
Lettera vincitrice nella categoria Lettera dal carcere.
Nella tua lettera mi chiedi come consumo il mio tempo nel carcere: non è facile risponderti.
Posso certamente affermarti che non ho più il senso del tempo, non so più contare i giorni, i mesi, gli anni; per fortuna riesco a continuare a sperare con lo stesso spirito di quando ero ragazzo!
Non so più contare il tempo, perché mi rendo conto di vivere in una società che non evidenzia più le ingiustizie e le disuguaglianze.
Qui il tempo che passa non lascia il minimo segno, ogni anno è uguale all’altro e di questo passo il prossimo decennio sarà uguale a quello appena trascorso: a cosa serve contare i giorni, i mesi, gli anni, se il tempo della gente è segnato dall’indifferenza?
Mi riconosco poco in questa società, che non ha più tempo di riflettere, dove nessuno ha tempo per parlare con qualcuno. Sento che all’esterno tutti vanno di corsa, senza sapere effettivamente dove vanno, né per quale ragione si muovono; tutti agiscono senza avere mai un elemento di coerenza data dal ricordo di ciò che hanno detto o fatto in precedenza. Dai dibattiti televisivi colgo l’impressione che le masse si muovono seguendo l’onda; un giorno si schierano da una parte e l’indomani sulla riva opposta: ondivaghe verso dove è tirato il guinzaglio.
In questo luogo, non mi resta che praticare la memoria, non la nostalgia che invecchia ed è sintomo di mancanza di vitalità, per far rivivere nel mio spirito le cose in cui credo. La nostalgia, vista come la via del ritorno è una falsa pista disseminata di miraggi e so bene che per quanto sia forte il desiderio e grande la forza d’animo, nessuno tornerà mai da dove è venuto.
Penso con piacere ai periodi della nostra infanzia e giovinezza, penso alle persone che ci hanno aiutato a crescere. I nostri genitori, la nostra prima maestra, le nostre prime amichette del cuore, i nostri primi sogni e di questi ricordi affresco il mio presente.
Ricordo i miei vecchi e cari nonni e i loro ripetuti vecchi adagi e mi rendo conto che delle persone che ci hanno dato tanto, ci si accorge quando non ci sono più. Convincersi, come di questi tempi, che se ne può fare a meno è come se quella razza si estinguesse e portasse con sé il valore delle loro esperienze. Tu sai che per me è sempre stato importante pensare a cosa intimamente necessarie; ancora adesso non posso farne a meno.
Oggi, come non mai, non m’interessa la convenienza, l’interesse fino a se stesso, né tanto meno unirmi ad una massa informe e incolore, condannata a vincere e funzionare, senza sapere in funzione di cosa. Pur piacendomi la buona compagnia, ho imparato a stare da solo con le mie illusioni. Nella pace di questa solitudine selezione i miei pensieri, tenendo lontano quelli che detesto o mi opprimono. Questo modo d’essere mi salva da dovermi intimamente rimproverare qualcosa in futuro; lo ha sempre fatto e mi fa sentire libero in qualunque luogo io mi trovo.
Il mio non è un modo di sfuggire dalla realtà, né dalle responsabilità: è per l’orgoglio di non farmi trascinare e schiacciare da ciò che non condivido, che non accetto, che non mi appartiene.
Nel concludere la mia lettera, sappi che nel mondo della mia memoria, un posto privilegiato è riservato a te e solo questo posto privilegiato mi ha consentito di cercare di trasmetterti i miei attuali stati d’animo: mio vecchio amico, compagno di tante scorribande e di tante avventure giovanili.
