2010 | Lettera a un giornalista
Sanja Lucic
Lettera vincitrice nella categoria Premio alla libertà.
I ricordi sfiorano le tue giornate come un tocco di ali di farfalla anche se carichi di emozioni, piene di immagini che come un puzzle completano il quadro della tua vita, meravigliosamente piena di ferite, alcune guarite, alcune appositamente lasciate aperte. I ricordi di una vita e tra i tanti anche quello di diventare giornalista. Ti ricordi?
Erano le cinque del mattino ed eri in coda. Olio, detersivo, zucchero, farina, forse qualcosa sarebbe rimasto ancora quando arrivavi alla cassa. O forse no. E forse l’inflazione in quelle ore non avrebbe “mangiato” il valore dei pochi soldi che avevi così ti potevi permettere almeno il pane. Il buio attorno a te era pesto, i visi più neri di quella notte che non si era ancora ritirata sulla città di Belgrado, in quel novembre che poteva essere qualsiasi altro mese dell’anno: tanto le code c’erano sempre, tanto il grigiore si era posato sulla città. E il buio c’era sempre anche se era giorno. Gli scaffali erano vuoti, la benzina si vendeva nelle bottiglie di plastica per strada, ed intorno a te giravano tipi vestiti con le giacche nere di pelle falsa offrendo marchi tedeschi al mercato nero. Avevi vent’anni. Ti ricordi?
Andavi in radio e parlavi del senso della vita che in quel momento sembrava non ci fosse, ti immergevi nella musica, ti riconoscevi nei racconti degli ascoltatori e vi facevate forza a vicenda, perchè “insieme siamo più forti”. Ti ricordi?
Erano le otto di sera quando quel suono ti ha stordito. Raccoglievi il bucato che profumava di normalità. Di vita. Il suono insistente, come se fosse l’ululato di un animale ferito, era l’allarme antiaereo che annunciava che da quella sera la tua vita sarebbe stata fragile, appesa ad un filo. Eri diventata un obiettivo. E con quel segno sul petto camminavi sotto quel cielo minaccioso per andare in radio. Per fare quello che hai sempre fatto: la giornalista. Avevi 26 anni. Ti ricordi?
E poi quello zaino sempre pronto vicino al letto nel quale ti sdraiavi vestita, con poche cose necessarie: una bottiglietta d’acqua, una radiolina, l’intimo, una torcia, un quaderno con la penna, alcune foto. Si poteva sopravvivere con così poco? E per quanto? Eri sempre pronta per la fuga, quasi nascosta dentro te stessa quando le bombe erano un sibilo sopra la testa e poi il suono frastornante che ha trasformato la tua casa in mucchio di libri caduti, scaffali rovesciati e visi impauriti. Ma per i tuoi vicini di casa erano diventate la morte. Ti ricordi?
Era l’alba quando hai preso il pullman per l’Ungheria senza una meta precisa. I volti dei tuoi cari erano offuscati dalle lacrime, rimanevano lontani mentre svoltavi dietro l’angolo diretta verso l’ignoto con una sola valigia nella quale hai cercato di impacchettare la tua vita. Di spostarla da un luogo all’altro ed iniziare tutto da capo. E poi eri seduta su una panchina in una qualsiasi via a Budapest con quella stessa valigia vicino, che tenevi stretta come tenevi stretta nella mano la tessera da giornalista, come se fosse la tua carta d’identità, il tuo passaporto, il tuo riconoscimento. Ti ricordi?
Era il 30 aprile del 2000 quando sei arrivata in Italia. Esattamente un anno dopo quella notte dove sei rimasta quasi uccisa. Definita un errore collaterale. Quando hai alzato il viso verso il cielo sperando che le stelle avrebbero portato via l’orrore ma quello che vedevi era solo la polvere nera che ti si appiccicava addosso.
Ma questa volta la valigia in mano, il biglietto l’aereo e le nuvole bianche sulle quali scivolavi verso la tua casa nuova non erano una forzatura, una casualità. Erano una scelta consapevole. Italia era l’amore, l’inizio, la speranza anche se unita alla lotta, al coraggio e sofferenza per il fatto di essere definita comunque diversa, comunque straniera. È stato difficile, a volte insopportabile, doloroso e nello stesso tempo bello, ma sei riuscita a rimanere quella che sei sempre stata: una giornalista. Avevi 27 anni. Oggi ne hai 38. Ce l’hai fatta Sanja. Sono orgogliosa di te. Ricordati anche di questo. Sempre.
