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2013 | Lettera di scuse

Salvatrice Busacca Ottaviano

Lettera finalista nella categoria Lettera a tema libero.

Ragusa, 27 giugno 2013

Aristide, mio caro,
27 giugno: il nostro anniversario di nozze. “Fra un mese mi sposo – ti scrissi – ci terrei che vi fossi anche tu”. Risposta: “Dopo lunga meditazione ho deciso di accettare l’invito: dopo tutto, sul biglietto accanto al tuo c’è il mio nome”. Quanta allegria nelle nostre lettere ed in quelle dei bambini, con i fiorellini e i cuori, e in tante altre dei ragazzi, fin quando un giorno l’incanto finì!
Ripresi la penna, quel giorno, e fu un sussurro ciò che accanto a te andavo scrivendo. “Amore mio, un nastrino rosso annoda le nostre lettere che, confidenti amorose di sogni e progetti, attraversavano mezza Italia per regalarci un abbraccio. Era il 1963. Oggi scrivo una lettera di addio: la morte ci sta separando. Nessuna lettera giungerà dal paese di Fra’ Diavolo, non aspetterò più il postino, lo stesso che ora, vecchio e immobile al sole, come un gatto, se ne sta seduto al bar, senza la borsa gonfia di lettere quando, prima fra tutte, mi consegnava la “mia”.
Erano ariose le tue lettere, cariche di ottimismo e di amore. Le mie ti comunicavano “la sensazione di un dialogo pacato, sereno, a bassa voce”, così mi scrivevi.
Guardo il tuo volto, bello come quando, sposina, mi incantavo a guardare il tuo profilo, e a quello sguardo tu ti svegliavi, allora. C’era la luna sui tetti di Itri, illuminava le pratiche dell’Ispettorato che si stringevano un po’ per farci spazio. Vedo volteggiare nel vuoto, ad inseguire fantasiosi arabeschi, le tue mani operose, creative, e ne provo infinita pena. Come vorrei che l’incolore soluzione della flebo fosse il propellente di una volta e ti portasse la vita: tanto, tanto propellente, gazzella mia, era la tua firma. Eppure, la malattia non ti ha umiliato: rimani sempre “u picciuottu che in mezzo alla folla a burritta non la perde” come disse una tua insegnante con icastica sintesi, didattica ed esistenziale.
In giardino, intanto, il cinguettio degli uccelli è musica, la musica che ha riempito tante nostre quiete serate. Vorrei ancora ascoltare Mozart con te. I ragazzi, adorabili, “navi- gano dietro le tue orme e mi salveranno dal naufragio”.
Dopo il naufragio.
Amore mio, ho slegato il nastrino rosso, ho sciorinato le lettere – le avevi numerate con vistosi bollini rossi – e l’”amore epistolare” che da fidanzati vivevamo come ripiego, sia pur dolce, ha ripreso il cammino, mi regala frammenti di allegria e scriverti torna ad essere “dialogo pacato, sereno, a bassa voce” come piaceva a te.
Come potrei non raccontarti il quotidiano fiorire dei nipotini e non raccontare di te a loro? Continuerò a scriverti perché i più piccoli ti conoscano ed i più grandi scoprano che oltre il confine angusto del T.V.T.T.B. esiste un’altra felicità.
Per festeggiare, prenderò un gelato con i ragazzi e mi piacerà perfino la tua stracciatella, oggi, pensa un po’!
Un bollino rosso occhieggia su questa lettera, d’amore, come tutte le altre.
Torneremo ad incontrarci, felici come quella mattina del 1963 alla stazione di Formia, e allora sì, avrò scritto l’ultima lettera.

Ciao, Arì, mi manchi da tre lunghissimi anni.
Salvina

 

 

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