2011 | Lettera di dimissioni
Sabrina Calzia
Lettera vincitrice nella categoria Lettera a tema libero.
Mio carissimo Dottore,
grazie di avermi regalato un altro risveglio.
Adoro svegliarmi come oggi. Coi primi raggi di sole a sfiorarmi la fronte attraverso le imposte, il suono morbido dei passi di mia madre nelle pantofole, la carezza di un suo bacio sulla tempia, nelle orecchie il tepore immutato della sua voce ancora così calda, sempre priva di incertezze nonostante gli anni. E sotto la sua voce, sotto ai piccoli rumori familiari del mattino, il mio nuovo, immutabile silenzio. Gli ho sorriso. Da quando tu mi hai preso la voce, è lui il mio migliore amico, il mio compagno e confidente. Il silenzio. D’istinto ho portato la mano alla gola, ho sfiorato la seta che l’avvolgeva, sono scesa col dito lungo la cicatrice che arriva fino alla spalla. E ho pensato che sì, il mio silenzio è una catenina d’oro intorno al mio collo sfregiato, una collana fatta di piccoli preziosi e quasi impercettibili sussurri del corpo. È un silenzio quasi tangibile, al quale non sono ancora abituata, ma che sto cominciando ad apprezzare. La mia voce mi manca, è vero. Ma è senza voce che le mie orecchie stanno imparando cos’è l’ascolto, riuscendo a percepire mille altri suoni, prima sconosciuti. Fra questi, il palpito sommesso del mio cuore. Sentirlo, la prima volta, è stata una vera rivelazione: come per un daltonico scoprire i colori. Anche oggi aprendo gli occhi l’ho trovato, il mio silenzio. Era un canto lento e gentile, che m’invitava alla pazienza. All’attesa.
Con lui addosso mi sono alzata, ho infilato in borsa il pigiama, la vestaglia, un cambio intimo e un buon libro. Domani comincio la chemio, finalmente. Mia madre dice non affaticarti, hai bisogno di forze,e lo so bene anch’io che ancor più della terapia dovrò essere io, a combattere la mia battaglia contro il cancro. Oggi però non voglio pensarci, avrei solo voglia di uscire correre gridare. E mangiare. Chissà se potrò ancora farlo?Dopo il primo intervento ho dovuto imparare una deglutizione diversa, e ci ero riuscita così bene! Ma non è servito a nulla, ora dovrò ricominciare daccapo. Vorrei tuffarmi nelle lasagne, nuotare in un piatto di pasta al pesto, volare via sulle pizze che vedo saltar fuori dai cassetti insieme alle focacce ai biscotti alle torte. Sono certa che mi basterebbe masticare un po’ di cibo per riavere l’energia di un tempo, e mi consolo pensando a cosa cucinerò quando tutto sarà finito. Immagino di sperimentare nuove ricette, assaggiare, gustare. Quando puoi fare tutto, nulla è così importante. Ora però è tutto diverso. O forse sono solo io a essere cambiata? Mi sono vestita con cautela, come fossi una bambola di cristallo; quasi temessi di frantumarmi a ogni movimento. E intanto pensavo alla notte appena trascorsa. Ti ho sognato di nuovo, Dottore. Con le tue belle dita affusolate, mi porgevi una coppia di ciliegie. Erano così rosse, golose, invitanti! E io le prendevo, felice, e le sistemavo sulle orecchie come facevo da bambina. Ormai è un sogno ricorrente. Mi sono chiesta spesso se possa significare qualcosa, e che cosa. Internet mi ha aiutata. Navigando ho scoperto che le ciliegie sono simbolo di vitalità e di amore per la vita, l’emblema di una condivisione felice. Alla luce di questo ho meditato a lungo, finché alla fine ho trovato in me delle risposte. Non ho mai dato del tu al Signore, né a dire il vero lo frequento abitualmente. Ma tra le idee che mi frullano in testa oggi, e anzi in cima alla lista delle possibili soluzioni, c’è anche l’ipotesi di un Suo invito, un richiamo. Un avviso. Forse il Signore vuol dirmi che sta per arrivare il mio tempo, il tempo di una vita per sempre. La vita alla quale non ho mai pensato o creduto veramente, ma che oggi forse un poco mi attrae, e cui certamente anelo più che al nulla, al basta, al mai. Forse.
In clinica arrivate alle cinque in punto, voi medici, per la visita giornaliera. Così, alle cinque meno un quarto, ho sciolto il nodo dietro al collo e ripiegato il foulard sul comodino. Mi sono guardata allo specchio. Non sono così brutta, ho pensato, dopotutto sono la Sabrina di sempre.Con un po’ di trucco mi sembra già di stare meglio, più forte di quanto fossi stamattina, a casa, col viso dipinto dal pallore stropicciato del sonno. Ho richiuso lo specchio, sollevata, e mentre lo infilavo in borsa ti ho visto entrare. Mi hai salutata, coi tuoi modi amabili e discreti. Ti sei avvicinato al mio letto e mi sei venuto accanto, eri fasciato in un camice così candido che quasi abbagliava. Hai chinato il capo sul mio volto, mi hai sfiorata con quel tuo odore così dolce, così diverso da tutti gli altri odori della corsia. Allora ho abbassato le palpebre, ho inspirato profondamente. E ho respirato il tuo profumo intenso, il sapore del cielo terso affondato nei tuoi occhi, il rollio indolore dell’onda mansueta che sgorgava dalle tue dita mentre mi premevi la spalla, il collo, il mento. Poi ho riaperto gli occhi, ti ho guardato. Tu mi hai guardata, mi hai sorriso. In quell’istante ho riconosciuto le tue mani lunghe, bianche e delicate, che mentre parlavi impugnavano una biro riempiendo il foglio di lettere, parole, numeri. Mi sembravano incise col fuoco, quelle scritte, tanto erano caldi e potenti quei tuoi movimenti. Roventi. «Coraggio Sabrina. Vedrai, ce la facciamo». In un attimo ho compreso. Coraggio Sabrina. Ce la facciamo.Eccole qui, le mie ciliegie. Rosse come il vino, dolci come il miele. Morbide e succose come le tue labbra. Straordinarie e meravigliose, come la mia speranza. E soprattutto forti, forti e audaci come la mia nuova voglia di vivere, che esiste respira e vive perché tu mi sei accanto. Le ho afferrate al volo e sistemate sulle orecchie, le tue e mie belle ciliegie, proprio come facevo da bambina. E così ingioiellata ho sorriso al mio neonato coraggio, che già strillava a pieni polmoni la sua voglia di crescere. Voce piccola e sottile, ma al tempo stesso profonda, in silenzio il mio coraggio grida al mondo aspettamie poi lo ripete, lo ripete milioni di volte, instancabile. In un incredibile, perfetto unisono col ritmo del mio cuore appena rinato. Ce la faccio, ce la faccio Dottore! Posso scalare una montagna, se tu sei al mio fianco. Ma di una cosa ti prego: non abbandonarmi a metà del viaggio. E per favore, dì al mio cancro che si prepari, ché se mi arrabbio divento insopportabile. Lo sento. Lo ascolto ballare divertito, proprio qui, qui nella mia gola. Lui può arrivare ovunque, lo so. Anzi, quasi ovunque. Nei pensieri e nel mio cuore no, lì non riuscirà ad entrare. E quindi comunque vada, anche se io non dovessi vincere, lui… ha già perso. Grazie a te.
Con profonda stima e fiducia,
tua Sabrina.
