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2007 | Lettera al genio della lampada

Rocco Capezzone

Lettera vincitrice nella categoria Lettera a tema libero.

Caro e lontano pino solitario mio.
Ti scrivo da molto lontano, dai piedi delle Ande; che fanno frontiera fra l’Argentina ed il Cile; da quasi quasi dove finisce il mondo. Ti piantai da ragazzo più di mezzo secolo fa’ e sempre ancora ti porto nel cuore, nell’anima e nelle mie pupille d’emigrato montanaro altoatesino. Come fosse ieri, lontano da te, dall’Italia mia perduta per sempre e dalle mie e tue Dolomiti natie, anche se ci separano 18.000 kilometri, ti vedo, specialmente quando mi reco lassù sulle Ande, alle falde dell’Aconcagua (sentinella di pietre), la vetta più alta di tutto il continente americano. Ti piantai da ragazzo lassù sul Brennero nel “Giorno dell’Albero” dell’anno 1938; di anni io ne avevo otto e tu pure; io misuravo circa un metro e tu pure; io ti volevo bene e tu pure me ne volevi; perché il tuo profumo di resina, me lo suggeriva e i tuoi fragili ramoscelli m’accarezzarono il viso, mentre ti piantavo. Lì, dove finiscono i prati, dove i tappeti di genziane, rododendri, cespugli di sambuco e umili violette alpine circondano i campi di segala ondeggianti al sole e dove la tramontana che scendeva dall’Austria fischiava sempre; ti lasciai ventenne per emigrare lontano, senza mai più tornare.

Oggi, caro pino solitario mio, quasi quasi sul viale del tramonto e lontano da te un oceano di anni, di ricordi, di dolori e di allegrie, di acque, di vento, di pianure, montagne, selve e foreste, guerre e rivoluzioni; ti scrivo questa letteraccia e scusami se lo faccio in un italiano zoppicante; perché sono ormai 56 anni che non parlo italiano. Come mi piacerebbe che ……. le tavole del tuo ligneo tronco abbracciassero il mio corpo di montanaro altoatesino emigrato; nell’ultimo viaggio al camposanto sulla terra …!!!!

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