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2016 | Lettera a un artista

Rita Fantinato

Lettera finalista nella categoria Lettera a un artista.

Caro Philippe, ho perso.
È accaduto ieri sera, consapevolmente, alla vigilia della consegna. Scrivere non fa per me. Creare storie da affidare a qualcuno che poi le possa, le voglia, leggere, non è affatto semplice. Le parole come ben sai hanno poteri magici: rimangono, ci sopravvivono, diventano memoria, sono una responsabilità. Ognuno crede di conoscerle, ma è quando provi a metterle sulla carta che ti accorgi di quanto siano capricciose e intolleranti alla tua presunta autorità. Di fronte al posto che, con leggerezza, hai a loro assegnato si ribellano e iniziano a stonare. Metterle in fila disciplinatamente, affinché coralmente generino quella musica che accompagna il senso, è un’alchimia rara che solo pochi sanno orchestrare. Un lavoro paziente, frutto di intimità tra sapienza e conoscenza, da artigiani, da amanti. Perché le parole vanno capite, corteggiate, significate. Solo allora si concedono pienamente a Qualcuno, consacrandolo e consacrandosi all’eternità.Quel Qualcuno non possiamo essere tutti.Tu già lo sapevi. Ora lo so anch’io.

Presone atto non rimane che accomiatarsi. Sventolare il foglio bianco della resa e capitolare, non senza le dovute riflessioni. Avevi ragione tu Philippe. Fa male. Alzo la saracinesca. Oggi il suo clangore taglia l’anima. Vibra dentro come una sega sdentata e arrugginita. Aveva ragione anche Daniele: contro la scrittura si è soli. E fa paura. Entro nell’ “officina creativa” dopo una notte di fantasmi e domande. Lascio le imposte chiuse, come quando da un luogo che hai tanto amato te ne vai, guardando un’ultima volta ciò che resta. È buio. E fa male. C’è polvere e odore resinoso di trucioli, residui di ciò che con impazienza, ho limato con i ferri del mestiere. Tutto sarà cancellato via. A nulla è servita la pialla e la sgorbia, contro l’urgenza sui tasti. Hai ragione Philippe. Scrivere è una nevrosi. La mia in questi giorni era indomabile. Compulsiva. Terribilmente inutile. È mancata la pazienza. Di girare ciò che chiami “il quadro”. Di non guardarlo. Amarlo e odiarlo come il peggior nemico da te generato. Perché la paura non è scrivere, ma creare. Gesto inarrivabile che porta con sé l’ineffabile seme della perfezione. È lì, che ci si ammala. Eccole. Le sento di nuovo: le parole. Nel buio, tra i fogli stracciati. Saltellano. Si muovono dentro una testa che non ce la fa più, pressata dall’urgenza. Le raccolgo. Le metto assieme alle altre che ho chiuso nella voliera. Mi hanno fatta impazzire con il loro baccanale. Anche oggi gridano il loro nome, vogliono essere usate, adoperate: «Io. Io. Io.»! È un pigolio ossessionante. Non riuscirei a stenderle nemmeno sul filo del bucato. Ho perso anche quello. Le copro con un drappo nero. Si quietano. Esco. Hai ragione Philippe. Fa male.

Scrivere non fa per me. Nemmeno questa lettera che fino a ieri sera ho tentato di scrivere per te.

Liberamente tratto dalla lettura de: L’urgenza e la pazienza di Jean Philippe Toussaint

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