2019 | Lettera alla mia città
Nicolò Romoli
Lettera finalista nella categoria Lettera under 14.
29 luglio 1983,
Paolo Borsellino a Giovanni Falcone
Caro Giovanni,
la Sicilia non è la terra che pensa l’Italia intera. Io ho viaggiato in Italia, Europa, nelle Americhe… e della Sicilia sono emerse due versioni: chi la ama perché non conosce la mafia, e chi la odia perché della Sicilia conosce solo la mafia, solo l’omertà. Ma non esiste uomo che come un siciliano sappia essere così rabbioso e, insieme, innamorato della nostra regione. Sono sconfortato anche io, come te. Dici di essere deluso per l’omertà, per il sapere e non dire anche davanti a un uomo che è morto saltato in aria con uno scoppio che ha squarciato il mattino, che ha lasciato un vuoto enorme in tutti noi. Per quanto riguarda me: non vedo? Non sento? Ovviamente non parlo, oramai è così.
Fa male a tutti la morte di Rocco Chinnici, un uomo, un pezzo di storia, che ha perso la vita solo perché amava Palermo e la sua, nostra, Sicilia. Un uomo – un pezzo di storia, lo ripeto- che ha combattuto la mafia con tutto se stesso, proprio quel suo stesso che ora è solo polvere che vola trascinato dal vento nel cielo, tra le nuvole. Sarà solo un ricordo per chi l’ha ucciso, sarà sempre Rocco per chi è leale, per chi ama la Sicilia e odia la mafia. La tua lettera mi ha sorpreso molto Giovanni, non ti avevo mai visto così addolorato e alterato, almeno mai così in modo nitido. Anche se non ti vedo, mi immagino i tuoi occhi rossi consumati dalla rabbia e dalla vergogna che la criminalità organizzata presenta a questo paese. Ultimamente io penso che l’omertà sia la maschera di questa terra, oramai trascinata sull’orlo del precipizio dalla crudeltà della mafia e dai suoi capi. Vorrei tanto risponderti alla domanda del perché “Cosa Nostra”: perché si chiama così e dove si nasconde? Ma delle domande so rispondere solo in modo tragico: la mafia, società criminale organizzata, oltre a nascondersi attorno e all’interno dello stato, anche dentro ognuno di noi, semplicemente corruzione, è mafia. Per questo la mafia esiste da mai, ma esiste da sempre.
Ho paura adesso, non tanto della mafia, ma di restare solo a combattere ciò che non si può uccidere. E poi, caro Giovanni, il nome Cosa nostra secondo me è azzeccato, perché, come dici anche tu, è loro il potere sullo stato, così come è loro il potere di controllare le persone, come pedine. Allora io mi chiedo, caro Giovanni, perché non tiriamo i dadi in questo gioco infinito di delitti, stavolta come giocatori e non come pedine, perché? Perché amiamo ancora la Sicilia? Perché quando siamo lontani proviamo nostalgia per il suo mare, per i suoi mercati, per il sole, il caldo torrido? Ma soprattutto, esiste ancora la Sicilia che amiamo così tanto? E ricevuta la tua lettera sono scoppiato a piangere, mi dico che è normale, ma non è normale tutto questo. Ora qualche mia lacrima bagna il foglio, e scivola tra le parole, colpisce le lettere e le fa rotolare sino a colmare il mio piccolo vuoto, ma lo fa solo apparentemente, perché il vuoto che Rocco ha lasciato è una voragine, profondo come gli abissi. Brivido, unica mia parola per descrivere il mio grosso livido. Crudeltà, ecco cos’è questa Sicilia, menzogna: questa è l’Italia. La mano trema al battito del cuore, rigido nei miei pensieri, nel ricordo di Rocco, che da ora sarà solo un ricordo. Spero che anche questo, e in generale la mafia, un giorno possa essere solo un semplice, ma che serva a qualcosa, tiepido ricordo.
Onestamente tuo,
Paolo
