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2013 | Lettera di scuse

Monica Gabrielli

Lettera finalista nella categoria Lettera di scuse.

Cara amata e indimenticata Terra d’Africa,
eccomi finalmente a scriverti questa lettera di scuse che rimando da tempo.
Scuse che non sono riuscita a darti nemmeno mentre salivo sull’aereo per tornare in Italia. Con lo sguardo rivolto al cielo (per non guardare te) sono salita sulla scaletta con il cuore diviso, sicura di stare facendo la cosa giusta, ma sentendomi comunque in colpa. E in quel momento non ce l’ho fatta a chiederti perdono. Ci provo solo ora, a due anni di distanza, a riconciliarmi con te. Con te che mi hai accolto come si accoglie un ospite atteso e importante. Con te che mi hai amata a tal punto da darmi uno dei tuoi uomini. Con te che hai cullato il mio bambino nei suoi primi mesi di vita.
Per quattro anni mi sono addormentata nel buio delle tue notti, con le stelle infi- nite che sembravano così vicine. Mi sono svegliata all’alba con le risate delle donne al pozzo e le grida dei bambini che facevano il bagno nel fiume. Ho ricevuto in dono sorrisi, galline, abbracci, pannocchie e benedizioni. Ho pianto a vedere il tuo lato crudele. Mi sono commossa davanti ai tuoi tramonti. Mi è montata la rabbia di fronte alle tue ingiustizie. Ho amato la vita come mai nella tua semplicità e genuinità.
E poi come un figlio ingrato che se ne va dalla casa dei genitori senza dare spiegazioni, ho fatto le valige e sono partita, portandomi via l’uomo che mi hai donato e nostro figlio. In realtà una spiegazione ho provato a dar(me)la: le condizioni sanitarie e del sistema scolastico sono troppo scarse per poterci crescere un bambino.
Motivazioni vere, lo riconosco anche a distanza di chilometri e anni, ma ancora oggi mi chiedo se non ti ho giudicato male. Se forse potevi dargli altro che qui non ha. Mi sembra di aver fatto una valutazione impari, in cui tu saresti risultata perdente a priori. Quasi come se in realtà l’Italia al tuo confronto fosse stata raccomandata, senza avere i requisiti, come spesso accade con i raccomandati. Poco ti importa, penso, di sapere che quando racconto di te a mio figlio, non accenno mai a quello che ci ha allontanato: come un genitore divorziato non dovrebbe mai parlare male dell’ex partner. Forse un giorno dovrò chiedere scusa anche a lui per non avergli nemmeno chiesto dove voleva vivere: è troppo piccolo, mi dicevo. Ora forse potrebbe dirmelo. Ma ho paura della risposta.
E io? Io vivo con la mia nostalgia, compagna di viaggio che mai mi abbandona. Nostalgia di te, Terra rossa, della tua gente, della tua semplicità. Ti ho rubato un uomo, me lo tengo stretto. Ma la mia punizione è vedere te ogni giorno nei suoi occhi scuri. Un giorno ci rincontreremo, ne sono certa. Ma ho paura di quel momento. Come si può avere paura di un ex che si dice di aver dimenticato, ben sapendo che basterebbe intravederlo per strada per cedere di nuovo alla passione. In attesa di quella resa dei conti, ti mando, oltre alle mie scuse, qualche granello della terra dove vivo ora: terra dolomitica, dura, compatta, millenaria.
Soffiala nel vento fino a quando non sarà un tutt’uno con te.
Vale come gesto di pace?

 

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