2014 | Lettera a un sogno
Melat Tamiglio
Lettera finalista nella categoria Lettera di un'adozione.
Caro passato, molti è il termine che userò, in questa lettera piena di parole che vanno a ritmo della penna che scrive la mia storia, per descrivere coloro che vivono nell’ignoranza nel non sapere e nella convinzione di sapere tutto e di possedere tutti. Coloro che non si guardano indietro, attorno, per vedere con gli occhi del cuore la semplicità della bellezza, la brutalità, la cattiveria ma… alla domanda: qual è la montagna più alta del mondo io dico: “IGNORANZA!” Fin da piccola attraversavo queste stanze, con una ciotola d’acqua e uno straccio, le facevo tutte di corsa poiché ogni volta che entravo cercavo un segno. Un segno che mi avrebbe tranquillizzato. Un semplice sorriso. “È un lavoro” diceva mamma. ”È un lavoro come altri, è un lavoro che porta cibo a casa” mi sorrideva, ma io sentivo in quel lavoro solo le grida, il dolore, lo scrosciare del sangue e il vibrato dell’orrore. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, la violenza era un compagno indesiderato che purtroppo c’era e con cui dovevo fare l’abitudine. Il mio sogno? Sopravvivere. Ironico no? Sarebbe un diritto. Bah, io poi sui diritti e doveri non né so poi così tanto. Vi suonerà strano ma a volte chi non usa il cervello è colui che sopravvive! In questa vita, in mezzo a questa gente che si affanna a fare leggi, leggi che impongono limiti alla verità ed io cerco di fare quell’innocuo passo che dimostra la mia presenza in questo mondo. Sono stata messa sull’autobus, mamma mi ha detto che tornerò e che mi vuole bene…. che parola, chissà se ha la sua profondità. Sono in un posto dove la dignità si perde ed il rispetto fugge via tra le ombre ed io, qui, con la mia sorella più piccola. Il mio dovere? Indossare un ruolo di madre, chissà come mai e perchè è pesante come un mattone. Un mattone che a ben vedere sembrerebbe leggero, perchè rotto dalle sue ferite, dalle sue perdite. Ma non è così! Passano mesi, conto giorni sulle ferite, ne ho così tante dentro al mio cuore, che di giorni ce ne vogliono per arrivare a quella porta, vicino un cartello: libertà. Gli uomini, strani esseri, io li vedo dappertutto, anche nel mio letto. Ormai è la normalità. Insomma è come raccogliere ori morti in un campo. Un giorno. Mi svegliano, mi pettinano, mi lavano e mi fanno le treccine: che succede? Forse sono arrivate le ali. “Sono arrivati”, mi dicono. “Siete molto fortunati, vi porteranno via da questo schifo!” Ma chi? E perchè mi vogliono portare via da qui? “E’mamma?!” mi dice mia sorella, correndo verso la porta. Le corsi dietro, come faccio a dirle che mamma ci ha abbandonati? La porta si apre e subito l’amore prende il volo. Che cos’è? Ho gli occhi chiusi, ascolto. Questo calore e questo ritmo, cosa sono? Aprii a fatica gli occhi e vidi che la vita è solo una farfalla le cui ali prendono il colore delle mie emozioni e quella farfalla in quel campo morto prese il volo.
