2012 | Lettera a un italiano
Mariella Magri
Lettera vincitrice nella categoria Premio alla libertà.
Bergamo, 22 giugno 2012
Caro italiano del terremoto, che in questo momento vivi sotto una tenda quasi a emblema di una iniziata vacanza estiva, scusa se ti confesso un mio pensiero, di cui mi rimprovero, ma che mi è “arrivato” nella testa, come tanti altri.
Ho immaginato te, sotto quelle tende, sofferente per la “distruzione”, per il caldo e per la perduta stabilità, poter godere di una amicizia, di un amore nuovo, di un sorriso o di uno sguardo come il tuo, di una completa condivisione con l’altro, senza bisogno di parole o di spiegazioni.
Ho immaginato, con un senso di struggente malinconia per qualcosa che so esserci, ma di cui non ho mai goduto fino in fondo, ho immaginato te, sfortunato per il terremoto, già provato da un periodo difficile della tua vita, ma con attorno il sentimento pieno di sentirti accolto, capito, aiutato, sia da chi, estraneo all’evento ma mosso dal cuore, è venuto in tuo aiuto, sia da chi, come te vittima di questa tragedia, è diventato con te quasi un essere solo. Spesso, credo, la fatica, il dolore, la disgrazia, cambiano i rapporti tra le persone, le eguaglino veramente e le rendano capaci di scoprire il vero senso del vivere insieme.
Nella tua disgrazia, caro italiano del terremoto, assapori un bene immenso: il sorriso tuo e dell’altro per semplici cose, gli occhi che si incontrano e si parlano senza parole, il desiderio di stare bene insieme comunque e ad ogni costo; quanti dei vostri bambini, io penso, tra qualche decina d’anni ricorderanno questo momento come una vacanza speciale, perché intrisa di emozioni uniche.
Mi vergogno di questo pensiero e soprattutto mi preoccupo di poter suscitare la reazione arrabbiata di chi mi vorrebbe dire d’aver perduto la casa, il campanile, il paese, una persona cara.
Gli chiedo “scusa”, ma gli chiedo anche di assaporare con consapevolezza quel senso di profonda comunione tra le persone, di cui forse ci sarebbe bisogno anche in tante altre circostanze della vita di oggi.
Caro italiano del terremoto, io vivo dove tutti andiamo in fretta, tutti sembriamo dispiaciuti per questo e per quello, ma quasi mai siamo in grado di esprimere con vera sincerità i nostri sentimenti, forse perché facciamo fatica a provarli fino in fondo, non ne siamo più capaci, li allontaniamo, ci nascondiamo dietro frasi, sorrisi, sguardi di circostanza.
Allora, mi vien da dire, la forza di portar fuori il tuo sentire e scoprire che è anche quello dell’altro, sta diventando, o è già, un carattere recessivo nella nostra specie umana, che solo ogni tanto trova le condizioni per poter riaffiorare.
Caro italiano del terremoto, perdonami se ho osato pensare che quel senso di accoglienza vero e unico che la disgrazia ti consente di sentire, toccare, assaporare, sia un dono speciale che la vita ti ha concesso.
Cari italiani del terremoto, sia quelli che l’hanno subito, sia quelli che sono lì per aiutare, grazie infinite di avermi fatto immaginare i momenti veri e sinceri che sicuramente avrete vissuto tra di voi, bambini, giovani e soprattutto anziani, che hanno visto strappate le proprie radici, ma che forse potranno vederne germogliare di nuove.
