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2016 | Lettera a un artista

Maria Oggioni

Lettera finalista nella categoria Lettera a tema libero.

Amore mio, piccolo mio,questa lettera arriva da lontano. Prima di giungere a te ha solcato i mari una vita intera, anzi di tre: quella di un uomo, di una donna e la tua, bambino mio. Ecco perchè questo foglio, che contiene parole che da quarant’anni premono per uscire, ti arriva ora scalzo e a mani vuote come un pellegrino medievale. Le verità che leggerai sono rigirate per le mie mani come un rosario per tutto questo tempo e a guardarle adesso, col filtro dei miei settant’anni, non fanno più paura. Assomigliano a grani di legno consumati dall’uso e sono diventate parte di me, compagne fidate della mia quotidiana preghiera, che oggi varca la soglia del suo santuario.Eccomi qui, col mio bastone da vecchia e i sandali ai piedi, a battere finalmente il portone della tua compassione, della tua pietà. Ho camminato tanto, per arrivare fin qui, che quasi non ricordo più quale fosse il peccato da espiare, la colpa che mosse questo mio lungo peregrinare.Perché nel frattempo la vita è trascorsa, ed è stata bella, più di quanto potessi sperare di meritarmi. Ho avuto la fortuna con me: bellezza e grazia, un corpo fatto per fare figli, la benedizione di una famiglia unita ed oltre a questo riconoscimenti e stima, un po’ di soldi anche. Qualcuno dice: troppo. Il corpo, ecco. Veniamo al punto. In quel tardo pomeriggio d’estate, in fondo io non ho fatto altro che seguire la traccia che il mio corpo mi indicava. Siamo animali che si fiutano, piccolo mio, chissà se l’hai già capito -Un temporale ci aveva costretto a lasciare la spiaggia di corsa; ci tornai verso sera, sola, per recuperare i giochi di tuo fratello. Era tornato il sole ma stracci di nuvole grigiastre bagnavano ancora il cielo e il Tirreno squassato dal vento vibrava minaccioso. Sulla riva c’era una barca rovesciata e un uomo che sembrava l’ultimo superstite dopo la fine del mondo. Ricordo poco di lui: ricordo occhi scurissimi in cui ardevano fiamme di fame o di paura, e mani grandi e callose, da contadino forse. Ricordo il modo in cui mi prese per il polso e quello che io scelsi fu di obbedire a un ordine, ma non il suo. Fu il mio corpo, l’essenza intera di me, che volle unirsi a quell’uomo nel più totale degli abbracci. Rotolammo dietro quella barca, dalla parte del mare, e ci amammo guardandoci negli occhi, fissando il nostro rispettivo dolore e già con nostalgia.Un uomo e una donna che si riconoscono e si scelgono per un attimo infinito, sotto la grande volta del cielo. Tutto qui. Non mi sto giustificando. Ti sto chiedendo perdono, anche se so che queste povere scuse non basteranno a colmare le domande che da quarant’anni assillano qualche parte nascosta di te, inascoltate.Vorrei solo che adesso che anche tu stai per diventare padre, potessi guardare negli occhi tuo figlio e riconoscervi il guizzo nero di vita che è arrivato fin lì. E perdonarmi, se potrai. Con amore,

mamma

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