2013 | Lettera di scuse
Marco Bruttomesso
Lettera finalista nella categoria Lettera di scuse.
A mamma e papà,
ho sperato sino all’ultimo che fosse solo un brutto sogno, uno di quegli incubi che paiono talmente reali da lasciarti nell’incertezza che tutto sia veramente accaduto anche dopo aver spalancato gli occhi.
Schiuse le palpebre è stato anche peggio, tutti quegli sguardi ricolmi d’odio, quelle dita puntate contro.
Sono due giorni che ripenso a quella sera, contrito nel silenzio di queste quattro mura ogni attimo sempre più soffocanti. Ricordi sbiaditi, difficili da riordinare: la festa di laurea, la musica a palla, tutto quel bere.
Io che non sono mai andato più in la di una birra, che non ho mai desiderato eccedere, ma che per una volta mi sono chiesto di non essere me stesso, almeno non alla vigilia di una nuova vita. Poi l’auto che sbanda, tutto che prende a scorrere troppo velocemente per me che sembro pensare al rallentatore, abituato a prevedere ogni mia mossa e che invece improvvisamente mi scopro impacciato, come brancolassi nel buio. Ancora non riesco a comprendere quanto accaduto che per tutti sono già un mostro, loro che nemmeno mi conoscono. Penso a quanto sia piccola la finestra di questa cella, neppure il sole riesce ad intrufolarsi filtrando fra le sbarre, guidando un raggio di speranza in questa valle di livida solitudine. Non una parola, neppure le guardie: solo voci lontane, fuse nello sbattere metallico dei cancelli, che si rincorrono lungo i corridoi e penso a lei, ad Elisa. È stato il direttore del penitenziario a dirmi come si chiamava, fissandomi negli occhi come si fissano gli assassini, quelli che ignorano il valore di una vita. Non c’è bisogno di sapere che volto avesse, ricordo le sere in cui, noi tre insieme, cenavamo guardando alla tv il telegiornale. Avevano sempre visi d’angelo quelle giovani vite falciate. Un sorriso solare, un cassetto pieno di sogni e tanta voglia di vivere che gli scorreva a fior di pelle. La immagino così Elisa e il peso di quanto accaduto si fa ancora più schiacciante da sopportare. Io che in tutti gli anni di volontariato non ho mai guadagnato la sicurezza d’aver salvato una vita ed ora mi ritrovo certo più che mai d’averne spenta una, con la semplicità con cui si soffia su una candela. Mi hanno tolto tutto, i lacci, la cintura, hanno paura che possa volerla far finita, ma non sanno che ad un ingegnere sia sufficiente proprio quella sua dote per giungere laddove egli desideri, anche con quel poco che gli è stato lasciato.
Vi chiedo perdono, mamma e papà, per l’immenso dolore che vi sto procurando, per la vergogna, per quello che immagino stiate patendo in paese a causa mia. I tanti sguardi posati addosso, i sussurri alle spalle. Vorrei avere il coraggio di domandarlo anche ai cari di Elisa, ma come si può anche solo pensare di poter perdonare colui che ti ha strappato quanto di più caro avessi? Credo aggiungerei soltanto altro dolore a quanto non ne abbia già inflitto loro. Mi guardo indietro ed il ragazzo cresciuto in oratorio, quello col capo chino sui libri e negli occhi l’America si è eclissato per sempre, spazzato via dall’asprezza degli eventi. Perdonatemi, anche se so che non comprenderete l’essere del mio gesto.
Vorrei poteste pensare non come ad un uomo che si è arreso, che ha gettato la spugna, ma come si pensa ad un figlio che si è immolato alla causa, che ha imbracciato le armi ed è partito al fronte: con orgoglio. Vorrei sapeste quanto non sia il carcere a spaventarmi, anzi è proprio in quella certezza di tornare presto “libero”, tanto decantata dall’avvocato, che distinguo la vera minaccia.
Impossibile scorgere nel domani un futuro sul quale non si possano allungare, minacciose come nubi, le ombre di un ostile passato. Non ridarò certo la vita ad Elisa privandomi della mia, ne allieverò le sofferenze altrui, son certo, ma forse più d’uno, oltre me, scorgerà in questo mio umile gesto un bagliore di giustizia terrena, quell’atto di redenzione all’altezza del castigo inflitto a chi colpa non aveva per quanto andava accadendogli.
Siate sereni, mamma e papà, come lo sono io nel momento in cui mi appresto a saldare il mio debito: vi porterò sempre nel mio cuore, anche di lassù.
Con infinito affetto il vostro Lorenzo, quello d’un tempo…
