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2016 | Lettera a un artista

Marcello Florita

Lettera vincitrice nella categoria Lettera alla vita.

Cari Francesca e Filippo, oggi è Natale e vi racconto una storia, la storia della nascita e di un miracolo che non s’è compiuto: una storia di fiducia e di fatiche, una storia di due vite appese a un respiro di piuma.

Era il 6 aprile e fino all’epoca pensavo che 900 grammi fosse il peso ideale del petto di pollo, di una maxivaschetta di gelato o di un portatile di ultima generazione. Invece no. Anche un bimbo può pesare 900 grammi. Tutti raccontano l’esperienza della nascita come un qualcosa di miracoloso, magico e fantastico. Credo che in parte possa essere vero, o meglio immagino che per qualcuno lo sia veramente, ma posso dire con altrettanta certezza che non lo sia per tutti. Ebbene quel giorno, per voi e per noi, è stato tutto fuorché miracoloso. Anzi si può dire sia stato perfino banale nel suo essere così terreno e trasudante d’imperfezioni. Il che mi ha fatto pensare alla nascita, più che a un miracolo, a un processo sublime e preciso composto da un insieme di passaggi scadenzati e ordinati, che quando s’interrompe, anticipando i tempi fisiologici, s’inceppa improvvisamente e tutto va a rotoli.

Non c’è nulla di miracoloso nel vedere un bambino di sei mesi e mezzo uscire dalla pancia della mamma. Non c’è il miracolo, non ci sono respiri, se non quelli flebili di una piuma, e non c’è la vita. Solo un rabdomante può trovarla in mezzo a quella tiepida arsura. In fondo la verità sta scritta in un pugno di parole che ti racconta la nonna, quella che il libro della natura l’ha letto da tempo. Non mia nonna, non che lei non l’avesse letto, ma la nonna del mio amico. Ebbene lei raccontava che quando è nato il padre del mio amico, alla trentesima settimana, ha guardato sua madre e ha sussurrato: “questo lo teniamo o lo buttiamo?”. Sì, perché forse all’epoca, ci si poneva il problema se tenerlo o no. Quel giorno dissero di sì. Chissà quante nonne innamorate dei loro figli e della maternità hanno risposto no. E lo dico senza accusare o denunciare nessuno, né credendo che quella soluzione sia stata encomiabile o esecrabile. È il libro della natura che scrive pagine anche tristi e poco miracolose rispetto alla vita.

Quella stessa natura che vi ha fatti nascere e che forse non vi avrebbe permesso di sopravvivere se non ci fossero state macchine, aghi, cannule, tubetti, incubatrici, esperti e medicine; ma non Abbracci. Quelli non servono ai bambini prematuri, e non si possono dare. Li ho tenuti in tasca insieme ai peluche, ai ciucci e alle congratulazioni, di cui avevo le tasche piene e non me ne facevo nulla; per un bambino prematuro la vita non è una gioia, né è scontata. I medici ci esortavano a non crearci illusioni poiché la vita dei nostri figli, la vostra vita, Filippo e Francesca, era solo in leasing. Finché la vostra vita era in scatola, o in incubatrice, gli Abbracci ingombravano le tasche, già piene di fazzoletti umidi o, ancor più spesso, alla vostra vista totalmente bagnati.

Ebbene, se rivivo questo lungo percorso, sento la fatica, i dolori, le preoccupazioni, le impotenze, le lotte e la fiducia, quella fiducia cieca che può avere solo un matto, un medico, un rabdomante, o un genitore.
Nella nascita, o meglio, nella vostra vita c’è la lotta e la fiducia nel vostro voler diventare vita e nel nostro voler diventare genitori. La vita è lotta, casualità, costruzione e fiducia; l’avete già capito a vostre spese.

Ora vedo altri miracoli, e non quello della nascita: i tuoi Francesca che, nonostante il reflusso, spalanchi la bocca come un pulcino ogni volta che bevo la spremuta d’arancia e che urli eccitata appena senti le mie chiavi sulla porta; e anche i tuoi Filippo, che molto precocemente hai strisciato e gattonato, e che a sette mesi ti alzavi in piedi scalando ogni centimetro della mia gamba. Questi sì che sono miracoli; così come lo è festeggiare il Natale quando non immaginavo che saremmo arrivati a mangiare il panettone. Noi quattro insieme, fuori da ogni scatola, e con una tasca ormai sgombra di fazzoletti umidi o congratulazioni. Una tasca dalla quale estraggo continuamente Abbracci, quasi a svuotarla; se non fosse che poi, miracolosamente, la ritrovo piena di nuovi Abbracci.

Cari Francesca e Filippo, questo è il vero miracolo. Il miracolo di una relazione costruita al di là dell’incubatrice. Il miracolo è che siete con noi e ci amiamo clamorosamente!

Il vostro Babbo

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