2016 | Lettera a un artista
Luca Piana
Lettera finalista nella categoria Lettera a un artista.
Caro Duca Bianco, grazie per aver colorato la mia vita.
Le scrivo queste righe in segno di saluto, forse per l’ultima volta, e ben consapevole del rischio che non riesca neppure a leggerle. Ma sono certo che per un mito senza tempo come Lei non faccia la differenza un secondo in più o uno in meno: leggerà queste parole nelle vesti di star mondiale o in quelle di “Heroes”, l’ultimo immortale in grado di unire i popoli attraverso la cultura. A proposito, spero che si ricordi ancora di me, del suo vecchio amico d’infanzia Hermann Neuville. Non si offenda se ho deciso di darLe del “Lei”, per me è e sarà sempre un segno di rispetto. Una tradizione che mi è stata insegnata dai genitori in età adolescenziale, si ricorda che bel periodo? Eravamo sempre in giro, l’arte era al centro di tutto e remavamo tutti dalla stessa parte. Oggi non sarebbe più possibile e per questo motivo non ho alcuna recriminazione. Le nuove generazioni comunicano con facilità ma non si parlano, si danno del “tu” ma non si considerano, si “sentono quotidianamente” per sentirsi sempre più soli. Ma questi sono discorsi che non ci competono, mio caro Bowie. Se avessi voluto fare il sociologo a quest’ora sarei già finito in un manicomio e la voce dell’assistente sociale sarebbe stata la colonna sonora della mia vita. Invece mi sono creato la mia indipendenza guardando i suoi film, apprezzando la sua arte e ascoltando le sue canzoni. A proposito, volevo complimentarmi per la scelta di dedicare al nero l’ultimo album della carriera, “Blackstar”. Non sono un insensibile, conosco bene le sue condizioni di salute e il solo pensiero di questo “addio” mi fa star male. Ma conosco la sua opinione a tal proposito – molto simile alla mia – e, chiudendo gli occhi, mi sembra di tornare ai tempi dell’adolescenza, quando stavamo svegli tutta la notte in giro per le vie di Berlino proprio per assistere al cambiamento, il passaggio da un giorno all’altro. Ogni maledetta notte per vedere chi c’era a riformattare tutto, a fare quelle impercettibili modifiche che nessuno poteva vedere, neanche gli operai che si alzavano alle cinque di mattina per andare in fabbrica. Il buio della notte cancellava quanto di male fatto ogni giorno e ci proiettava verso un futuro migliore. Oggi non cambia più nulla, caro signor Bowie. La nostra amata cultura viene mortificata di giorno in giorno con tagli che non possiamo permetterci, noi che abbiamo una capigliatura forte e sana. Siamo ostaggi nelle mani di economisti e terroristi, pronti a farci saltare in aria con bombe carta e carta straccia. Mi hanno colpito forte, caro amico. Ho le tasche vuote e il cuore pieno d’affetto nei confronti di mia moglie, mentre l’orgoglio ferito non mi permette di intraprendere nuove relazioni in un mondo dove le conoscenze sono tutto. Oggi in città ci sono le code per diventare “artista a tempo determinato”, noi rappresentavamo il sound delle periferie che mandava un messaggio di forza e ribellione per chi non ce la faceva ad andare avanti. In tutti questi anni ho amato solo il mio, nostro, pubblico e non avrei mai immaginato di terminare una carriera scintillante in una clinica privata di Amburgo. Ormai arrivo a pesare circa 40 chili, sono un “malato con tempo determinato”, ma continuo a suonare mentre la barca affonda, come l’orchestra del Titanic. Se chiudo gli occhi inizio a già vedere il nostro amato “nero”, l’ultima cosa in cui ormai continuo a credere. Perché io ci credo nel nero caro David Robert. Se il tramonto ci farà soffrire e l’alba sarà lieta, il merito sarà proprio del cambiamento notturno che percorreremo insieme.
A presto, welcome b(l)ack Hermann Neuville
