2017 | Lettera a un cervello in fuga
Laura Stavolone
Lettera finalista nella categoria Lettera a tema libero.
“Buongiorno, bella signora!” mi salutasti così, appena entrai in quella stanza dalle pareti ruvide e rosa. Gli occhi neri e tondi come bottoni ti brillavano: “Se hai voglia di parlare, io sono qui”, poi abbassasti il mento per osservare il braccio disteso su cui l’infermiera cercava una vena forte tra le molte fragili. Accennai un sì vuoto con la testa, piena di parole dure come il mio petto occupato dallo spietato e silente inquilino alieno.Tutto aveva un respiro lento, come l’aria d’inizio estate.“Io sono Wanda” dicesti con voce squillante, e le rughe profonde sulle tue guance brune mi parvero farsi più leggere. Oltre la grande finestra in fondo alla stanza ci spiava il mare – ricordi? – lo scoprimmo insieme quando fu l’ora del tè e delle medicine, si confondeva con il colore del cielo, increspandosi qua e là in piccole onde lucenti, ali agitate. Gli alberi lungo la strada se ne stavano aggrappati all’asfalto. Seduta sul letto, Lina rideva rossa e placida, nuotando nel pigiama a fiori e nel suo mondo puro. Ridemmo anche noi, con gli occhi lucidi, senza un perché. Donne in attesa di verdetti e speranze. Quella sera venne a trovarti tuo figlio. Lo chiamavi “amore”, teneva le mani sulle ginocchia e fissava il pavimento di linoleum, la fronte attraversata da una rabbia antica. “Lavori troppo” gli dicevi scuotendo la testa, e “i ragazzi come stanno?”, “bene” ti rispose passandosi una mano tra i capelli scomposti. Lina inghiottiva purè di mele, rideva e tossiva, mentre sua madre, accarezzandola, parlava di quella massa sui polmoni, di disturbi cognitivi e di un centro ricreativo appena nato in città.Mio marito mi portò un pigiama nuovo a righe che ci piacque molto.L‘alba del giorno dopo fu ovattata di nuvole lunghe e gonfie. Presto il sole si fece tepore chiaro che invase la stanza e le tende verdi. Sotto il cielo una nave procedeva decisa. Ti alzasti dal letto per aprire la finestra: “Non c’è niente di più bello del mare, non finisce mai”. I tuoi seni, pani vuoti contro il vento. L’odore di salsedine mi scaldò le tempie. Poi il racconto della gioventù, sfacciata e ancora viva a fior di labbra, delle nuotate tra le onde e sotto le stelle, delle corse da perdere il fiato su per i pendii verdi e polverosi, eri imbattibile! Volevi aiutare e diventasti partigiana, nascondesti quegli uomini feriti, leggevi e volavi sulle suole consumate, con o senza armi, raccoglievi frutta. Giovanni ti era stato sempre accanto, fin dal primo bacio rubato alla tua bocca inquieta, fino al giorno in cui se ne era andato dopo le lacrime e l’ultimo sorriso. “Oggi mi mandano a casa, finalmente, sto meglio. Vivo da sola, a volte ho paura, ma sono abituata a correre! Tu sei giovane, andrà tutto bene, vedrai, dopo sarai più forte” mi dicesti mentre non me lo aspettavo. Quei 92 anni alla finestra, come raggi d’argento. Ti strinsi le mani, bevemmo acqua fresca. Nel pomeriggio arrivarono i volontari della Croce Rossa, due ragazzi biondi e robusti pronti ad accompagnarti a casa. Indossasti la vestaglia azzurra. “Finalmente, il mio letto, la doccia e la tv, la pasta con il sugo e il formaggio filante sopra”, gli occhi tremavano appena.Finalmente, anche se tuo figlio era partito per un posto lontanissimo, un nuovo lavoro. “Ciao, bella signora, vado a finire il libro sulle piante rampicanti, mi aspetta sul comò!”, mi facesti l’occhiolino prima di attraversare sicura la porta. Lina dormiva. Nella stanza rimase il tuo profumo di erba alta, lo cercai con le narici anche di notte. Questa sera dal balcone di casa guardo la luna chiara, poi il mare, sorrido e penso al tuo nome, cara Wanda. Dalla radio nel cortile vibrano onde e parole, una brezza leggera sfiora la cicatrice sul petto e la lampada accesa.
Domani taglierò di nuovo i capelli, farò una piega simile alla tua, spero di saper correre bene come sai fare tu.
Laura
