2017 | Lettera a un cervello in fuga
Grazia D’Altilia
Lettera finalista nella categoria Lettera a tema libero.
Cuore, cuore mio, da quando mi sei entrato dentro, è come se gli occhi captassero luce nascosta e le orecchie raccogliessero suoni inascoltati. Persino la pelle, la sento nuova. Più sensibile. Come appena sgusciata per effetto di un’improbabile muta. Sono un’altra persona.
Potrei cambiare carta d’identità?Non cambierei, però, la foto. In fondo, nonostante la virgola nel sopracciglio destro, mi piaccio. È un ricamo tuttora intatto sebbene sia trascorso del tempo. Sei punti di sutura a chiudere il taglio per un tonfo da un muretto. E mi piacciono anche gli incisivi, così larghi che ci s’infila una coppia di stuzzicadenti e il naso che, mi dicono, sia alla francese. Anche il colore degli occhi non potrei variare. Marroni erano e marroni sono. I capelli, beh sì, ogni tanto lascio giocare la mia parrucchiera con la gamma delle colorazioni. Dal mogano al ramato. Ho dato margini. Di più non oserei. Ma alla fine resta marrone anche l’aggettivo con cui descrivere la voce “Capelli”.Non cambierei la cittadinanza. Italiana! Italiana del Sud ma da anni trasferita al Nord. Nel 2017, la distinzione dovrebbe essere un dettaglio inerente una precisazione puramente geografica. Che diamine! Terroni e polentoni sono pensieri d’altri tempi. Ma poi, anche in altri tempi, hai visto mai, cuore mio, una casella da spuntare per specificarlo?Non cambierei neppure la mia residenza. Perché da quindici anni a questa parte ho comprato casa. Una casa piccola, frutto di grande sacrificio. Potrei mai andare altrove ad abitare? Dovrebbe buttarla giù un terremoto. Non sia mai ! Comunque, dovrebbe essere antisismica, per cui né io né la casa stessa abbiamo motivo di ubicarci in un altro indirizzo.Non sarebbe da cambiare tanto meno la mia professione. Ero un’impiegata e sono un’impiegata. Oh sì, cuore mio, più informatizzata rispetto all’anno dell’assunzione, ma non più efficiente di quanto già lo fossi.Ci sarebbe qualcosa da aggiungere a “Segni particolari”. Ma qualunque dicitura sarebbe inadeguata. Non renderebbe il concetto. Perché, cuore mio, la vera metamorfosi sta nella promessa che ti ho fatto. Per me e per te, era ciò che mi sembrava più giusto. La ripetevo tra me e me, tra euforia e incredulità quando le eliche dell’elicottero ti portavano a me. E con maggiore convinzione man mano che l’accoglierti si configurava come il conficcarsi delle fondamenta nel terreno. Mi sarò addormentata con le parole sulle labbra perché appena mi è stato possibile ho appoggiato la mano per catturare il tuo battito. Sentire la tua vita divenire mia. La tua si era fermata contro la parete curva di una galleria. Così mi era stato detto prima dell’anestesia. La mia si dirigeva inesorabilmente verso una galleria senza uscita. Questo era ciò che sapevo da tempo. È una galleria il motivo del nostro incontro. Non avrebbe dovuto esserci lungo la nostra strada. Certe costruzioni, tuttavia, si edificano senza sapere con precisione quali mani ne siano gli artefici. Ma quando sono stata informata che eri in viaggio, chiuso in un contenitore come un diamante dal valore inestimabile, allibita per la felicità, con timidezza e con timore, ho pensato allo svincolo d’emergenza e di salvezza che mi avrebbe consentito di proseguire a vivere, ho pensato che appena cosciente avrei cercato il tuo pulsare e a costo di essere presa per folle, ad alta voce lo avrei giurato.
Sì, cuore mio, eccoti la mia promessa: Io voglio regalarti una bella vita! Ma se tra i segni particolari facessi aggiungere “lunga cicatrice verticale al torace” chi lo comprenderebbe? È dentro che sono cambiata. A cosa servirebbe cambiare carta d’identità se non c’è voce che lo renda noto?
