2013 | Lettera di scuse
Giuseppe Roncoroni
Lettera finalista nella categoria Lettera di scuse.
Caro Gustavo,
da un mese, da quando mi invitasti, non avevo che un desiderio: essere presente alla cena nella tua corte in collina e trascorrere una sera lieta con te.
Quindi puoi immaginare quale sia il mio dispiacere per il disagio che hai vissuto a causa mia.
Ti ripeto e questa volta per scritto, che mi dolgo d’aver rovesciato l’ampolla dell’olio con gesto impacciato e incauto, ma anche mi dolgo per il danno che l’olio ha procurato alla pelliccia di Isidora (pregiata tigre della Malesia a sentire l’avvocato), sebbene questa conseguenza non rientrasse in modo necessario nel mio atto maldestro, e tanto meno si può imputare alla mia responsabilità se nell’accostarmi a Isidora con il candelabro per verificare la bruciatura della pelliccia, perché da te la lampadina è bandita come nell’era delle caverne, ebbene da una candela sia scoccata una scintilla tale da appiccare il fuoco alle tende, e da lì quel fuoco si sia propagato nell’intera villa la quale, devi ammetterlo, era imprudentemente abitata da materiali piromani quali drappeggi, arazzi, quadri, intarsi, canterani e altri fossili rinascimentali, e infine aggiungo una notazione, il fatto che la vampa si sia estesa alle case d’intorno e alla cattedrale, se si considera quanto siano alti e secchi i campi di grano in questa stagione più che perfida, questo lo catalogo come un corollario algebrico, e tu sai, dai tempi del scuola, quanto poco abbia a spartire io con la matematica.
Però non voglio, Gustavo, che queste parole ti suonino come volontà di sminuire la mia colpa e possano magari mandare in fumo anche l’affetto che c’è fra noi perché questa, questa sì, che sarebbe davvero una disgrazia. Dunque ti chiedo scusa per tutto quanto è accaduto al punto di dirti che il contrattempo mi ha prodotto un dolore quasi maggiore che se fosse avvenuto nel mio appartamento di periferia. Chi se ne frega, perdio, di qualche goccia d’olio per terra nella biccocca che la mamma, così generosa, mi dà in uso per mettermi pari con il tuo maniero! Nel cospargere il capo di cenere (e mi scuso se l’espressione è fuori luogo sapendoti vagolare come un folle fra le rovine incandescenti del palazzo) ti chiedo in cambio un solo favore.
Fa’ così alla prossima cena quando mai avrai voglia di affittare un locale: lascia perdere quelle ampolle così instabili e fragili, prepara pane e salame, me li farò andar bene.
Peppe, il tuo fratellino minore
