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2017 | Lettera a un cervello in fuga

Giuseppe De Pinto

Lettera finalista nella categoria Lettera a un cervello in fuga.

Caro Nicola, sono passati solo sei mesi da quando sei partito per Copenhagen. Sembra una vita fa. Ti seguo su Instagram, vedo che ti sei ambientato bene, circondato da ragazze sempre diverse. Mi piace quello che pubblichi, l’ispirazione di paesaggi nuovi ha stregato l’obiettivo della tua macchina fotografica. Io non so esattamente perchè ti scrivo. Non ti ho perdonato, no. In questi sei mesi è cambiato tutto. Lo Studio Archinauti è un sogno ormai evaporato. I nostri progetti sono carta straccia, destinata a ingiallirsi nell’abbandono. Ma quello che tu hai fatto, presentarti a un colloquio di lavoro e attribuirti la paternità di progetti sviluppati da tutti noi, resta imperdonabile. Ti sei fatto bello davanti a una commissione con il lavoro fatto da altri. Hai tradito lo spirito degli Archinauti: prendersi cura della terra madre nostra; guarire, con le invenzioni dell’architettura, le nere escrescenze di relitti industriali disseminati nel territorio di Bari; creare soluzioni per nuovi modi di vivere, opportunità di riscatto per le nostre comunità, evitando accuratamente di cementificare. In nemmeno un anno di Archinauti abbiamo messo insieme un bel mucchietto di debiti, organizzato bellissimi workshop, meritato tanti like su Medium e Facebook. E porte sbattute in faccia dagli uffici tecnici delle nostre città. Un fallimento. Il fallimento autorizza alla fuga? All’opportunismo gelido, frutto della mala pianta del panico? Viola è scivolata nel pozzo del controllo di qualità di una ditta di supermercati. Tu fai l’architetto in un prestigioso studio internazionale. Michele, il migliore tra noi e demiurgo degli Archinauti, Michele che più di tutti aveva bisogno di aiuto, è solo. Si nutre dello stupore quotidiano che la sua meravigliosa bambina gli dona, ma non lavora. Quella arpìa della sua compagna studia ancora. Sono sempre nella stessa minuscola stanza, alla Madonnella. Siamo in tanti ad aiutarli con l’affitto, ma non è quello… Io ho aperto una partita iva e sto disegnando gli interni di un resort di lusso a Martina Franca. Sì un resort di lusso, hai letto bene. Un anno fa avrei quasi sputato su un’opportunità simile. La proprietaria, una imprenditrice mezzosangue svedese, l’ho incontrata sul volo di ritorno da Barcellona, dove mi ero rifugiata per qualche settimana quando tu sei partito e tutto è andato in mille pezzi. Le ho raccontato la mia storia. Non ci ha messo molto per convincermi. In quel momento è davvero finito tutto. Fine degli Archinauti. Ho ceduto e ho tradito anch’io, se non al panico a qualcos’altro che mi sfugge. Come mi sfugge il motivo per il quale non ti perdono, ma sento di dirti “bravo”. Ho trovato finalmente il coraggio di mollare Marco. Ho lasciato l’appartamento di via Re David e il sapore delle mie lacrime era amarissimo, quel giorno. Ho azzerato tutti i miei affetti. Mi faccio coccolare dai miei tre nipoti, i figli di Maria Luisa. Mi prendo cura di mio fratello Amedeo, che è allo sbando. Non riesce a laurearsi, la compagna l’ha lasciato dopo averlo deriso in pubblico e additato come un buono a nulla. Non ha alcun piano per il futuro. Tu ti sei messo alle spalle questo groviglio di minuscoli drammi e sei andato là dove tutto, impeccabilmente, funziona. Non ti perdono, ma come si fa a non dirti “bravo”? Chissà quanto rapidamente sei cambiato, se hai già disegnato il circuito di Formula Uno per Copenhagen, come quello che avevi creato per Bari, con traguardo sotto il divertito profilo liberty del Teatro Margherita.

Addio,
Luana

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