2014 | Lettera a un sogno
Elisabetta Putini
Lettera finalista nella categoria Lettera a un sogno.
Film impalpabile, straniante utopia, finzione, illusione, incubo!
Ti scrivo, caro sogno, perché non riesco a definirti, a darti un senso. Chi sei?
Entri raramente nelle mie notti. E quando succede, mi impegno, al risveglio, a richiamarti, a ripercorrerti, come se fossi un passo di vita. Eppure quasi mai ci riesco, non più almeno. Perché tu hai fatto dietro-front, marciando deciso fuori dal mondo surreale, in cui avevi la tua logica illogica, la tua variabile dimensione. E sei piombato come un corpo vivo nella realtà. Nell’oggi di quella me sveglia e lucida, attenta e attiva, sconfortata e incredula, ingenua e beata, che ti invoca e ti cerca e ti chiama. Perché solo quando ti trovo, dietro l’angolo dei desideri, questa mia giornata ha il suo compimento.
La dottoressa Palombi è sempre pronta a chiedermi di te, quando iniziano i nostri incontri. Mi stimola, cerca di farti a orare, non si rassegna quasi alla mia riluttanza, a quel nulla di sogni che io le giuro sono le mie notti. Ci provi, mi dice, faccia così, si concentri, appena apre gli occhi. Non si lasci scappare dalla mente quel lo che la unisce al suo inconscio. E’ memoria, è presagio, è attività sommersa, è parte di lei! Una linfa preziosa, utile alla terapia che stiamo facendo. Non permetta che si cancelli il suo sogno. Lo tenga in vita! Questo mi ripete la Palombi, ogni volta. Ma il sogno che lei vuole io le racconti non sei tu! E non poterla soddisfare mi fa sentire in colpa, mi frustra, mi castiga. Come se non fossi capace di svolgere un compito facile, in cui tutti riescono e io no. Se le dessi ascolto, forse, funzionerebbe. Ma io non seguo quasi mai le sue istruzioni, o meglio lo faccio, ma senza convinzione. Perché tanto so già che tu, odiato sogno della notte, fuggi via. Lasci appena un traccia sottile, una lucida bava di lumaca, una lacrima quasi asciutta. Una scia, insomma, così piccola e insignificante, che è già evaporata nel nuovo giorno, non appena questo entra, a forza, dalle tapparelle accostate…
È in quel momento che il tuo doppio si materializza. Entra furtivo, grigio come un soffio di tramontana; poi si colora – poco alla volta – si tratteggia, si disegna, diventa desiderio, speranza, fantasia. Quindi bi-sogno. Due volte sogno? Troppo esigente, però, troppo abbagliante. Questo sei tu, caro sogno dei miei giorni. Pretendi di farti largo, di realizzarti. Aspiri a nutrirti, a crescere, a moltiplicarti, come una meticolosa, inflessibile creatura, che non vuole mollare. E io ti vengo dietro, stupida, illusa. Mi compiaccio di quello che prometti, mi crogiolo nel verde delle tue lusinghe, attraenti come un canto di sirena. Ma quella sirena, caro sogno, non è forse visone? Non è allucinazione, delirio, miraggio? E quindi inganno? Che me ne faccio allora di te, sogno diurno? Se lo sapesse la Palombi che ci sei, forse saprebbe spremerti, orientarti. Io no, non ci riesco. Perché ti incrini, fragile e impietoso. Poi ti spezzi, secco e rumoroso. E quando arrivi, già so che mi deluderai. Punti troppo in alto. Devi capirlo che così non va. Chiunque tu sia, dunque, caro sogno, ricordo assente di un passaggio notturno o illusione che spunta col giorno, la natura ti ha fatto troppo grande. Non ce la faccio a metterti nella memoria. Non posso sopportare il tuo fallimento. Preferisco cancellarti, evitarti. E uscire canticchiando da casa, dimenticandomi di te.
