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2018 | Lettera a chi ha cambiato la mia storia

Elena Rivabella

Lettera finalista nella categoria Lettera di un'adozione.

Cara Anna,
questa lettera è per te.
Hai dieci anni e da cinque condividi la tua vita con tuo fratello Andrea, arrivato, come te, dalla Russia. Mi rendo conto che non ti ho mai chiesto esplicitamente quali fossero le tue aspettative su questo fratellino che arrivava dal paese dove sei nata anche tu, ma so per certo che erano alte. Finalmente potevi gridare al mondo: “Vedete, anche io ho un fratello!”. E se anche questa cosa poteva non interessare al mondo, era importante per te, ci tenevi ad essere “come gli altri” e nella tua testa di cinquenne, tutti gli altri avevano fratelli e sorelle. Non ti ho mai chiesto se tutte queste aspettative siano state disattese, ma posso immaginare che in parte lo siano state; Andrea non è meglio o peggio di altri bambini. È diverso. Ogni sera ti ripeto che se ogni giorno della mia vita potessi dire chi vorrei che fossero i miei bambini, direi sempre e solo voi. E per tanto tempo tu mi hai chiesto: “Diresti anche Andrea?” “Certo che direi anche Andrea!” Nei nostri sogni non desideravamo dei figli perfetti, noi abbiamo semplicemente aperto il nostro cuore e il nostro mondo a chi ha bussato alla nostra porta. E la vita ha voluto che foste voi due a farlo e che solo tu potessi essere la miglior sorella maggiore per Andrea. Però sono consapevole della grande fatica che hai fatto, che fai e che farai. Ricordo una volta che eravamo in macchina e un bambino che era con noi ti chiese a bassa voce: “Ma tuo fratello è handicappato?” E tu sempre a bassa voce rispondesti: “Non lo so, ma cosa vuol dire handicappato?” A me si è gelato il sangue. Vedi, probabilmente, ero più preparata alle solite domande sull’adozione, a quelle banali e un po’ stupide, quelle della “fantascemenza” come le chiami tu, del tipo: “Ma sono fratelli fratelli? Ma lo sanno di essere adottati? Ma la chiamate signora o mamma biologica?“ Invece, quella domanda mi è girata in testa per un sacco di tempo e mi sono resa conto che dovevo in qualche modo spiegarti la diversità di Andrea. Ma, nonostante i tentativi, non mi uscivano le parole adatte. Allora, dopo infinite spiegazioni scientifiche, ti inventasti “le scatoline di Andrea”, come se fossero la cosa più ovvia del pianeta. Mi ricordo che un giorno mi dicesti: “Il nostro cervello lo possiamo immaginare fatto di tante scatoline perfettamente ordinate per dimensioni, forma e colori: le rosse con le rosse, le quadrate vicino a quelle geometriche… tutto in ordine, le parole vicino alle parole, i numeri ai numeri, la sequenza delle azioni messe in maniera tale che saltare su una gamba sola o andare in bicicletta sono un gioco da ragazzi. Per cui a noi viene facile fare tutto, basta recuperare la scatolina giusta. Invece nella testa di Andrea, le scatole sono tutte in disordine, come quelle che ci sono nella cantina della nonna. Le grandi vicino alle colorate, le quadrate vicino a quelle trasparenti con i coperchi messi a caso. Dentro regna il caos, tu usasti la parola “casino”, un po’ come nel cassetto della biancheria, dove le calze uguali non si trovano mai e le mutande sono sotto le canottiere. Ed è per questo che Andrea non trova mai la scatolina giusta, perché se anche la trova, magari, poi il contenuto è diverso da quello che si immaginava. Quante volte gli hai gridato: “Andrea, cambia scatola!!” Questa lettera è per ringraziarti di aver trovato questo modo per farti capire anche da tuo fratello. Sei una bambina in gamba, testona, egocentrica e permalosa, ma succede che stai anche le ore su una panchina ad aspettare che Andrea finisca le sue terapie, quelle che gli permettono di riordinare la cantina e il cassetto della biancheria. E spesso mi dici: “Lui fa terapia, ma quando copia me, impara subito, perché i neuroni dello specchio (Anna, i neuroni-specchio) sono quelli di fratello e sorella e noi lo siamo per davvero.” “Mamma, ma dalla disprassia si guarisce?”. Anna, ti voglio un mondo di bene.

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