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2013 | Lettera di scuse

Diego Zanin

Lettera finalista nella categoria Lettera di scuse.

Scendevo le scale quella sera. Ti ho incontrato a due scalini dal cortile.
Avevi un’espressione sorridente e, non appena fummo vicini, mi porsi la mano in segno di gratitudine. Sapevo il perché di quel gesto. Avevo sistemato i rami spioventi della vigna nel cortile lo stesso pomeriggio; a nessuno piaceva farlo perché i rami erano alti, disordinati e tutto si poteva dire meno che fosse un passatempo gratificante. Ti strinsi la mano con aria indifferente e dissi “Ah, l’ho fatto solamente perché altrimenti non riuscivo a tirare bene a canestro”. Ripensandoci ora scopro quanto stupida sia stata quell’affermazione. Perché risposi così? Perché ero incazzato; l’esame di stato dopo la laurea in ingegneria meccanica era andato male (ingiustamente a mio parere) e come al solito diventavo facilmente irritabile, fastidioso e poco incline al dialogo. Era un sabato di giugno, con poco sole e molta umidità nell’aria. Quella sensazione di aria pesante che fa respirare a fatica, quella pelle sempre appiccicosa e le zanzare a condire il tutto.
Di lì a poco sarei uscito per andare ad una festa da amici. Il compleanno di una ragazza era il pretesto per ritrovarsi a bere in compagnia, trascorrere qualche ora all’aperto, in collina, vicino al casolare ormai abbandonato di parenti contadini ormai lontani.
Me ne andai così, senza quasi salutare, pensando sempre a quanto cazzo ero stato sfortunato, a quante cose ancora non quadravano nella mia esistenza di 25enne errone- amente convinto di aver già visto e provato molto nella vita.
La piccola Clio mangiava rabbiosa quella strada sterrata e in poco tempo arrivai alla festa. Chiacchiere, birra, vino e musica trasmessa in malo modo da un amplificatore per chitarra opportunamente agghindato a speaker per la radio.
Fu dopo poco tempo che mi accorsi delle 3 chiamate non risposte al cellulare.
Non lo avevo sentito papà. Era mio fratello. Lo richiamai. “Perché cazzo non rispondi mai al telefono cretino? Il papà è caduto e sta male…siamo già all’ospedale”. Come? Perché? Mio padre sta male? Quella stele di roccia cresciuta nel dopoguerra non era certo persona da cadere e stare male. Cosa stava accadendo?
Salutai tutti frettolosamente e in mezz’ora circa ero con mia madre e mio fratello fuori dalla sala rianimazione. Non capivo quello che stava accadendo, non poteva succedere a noi.
Te ne andasti in tre giorni. E a me rimaneva quella frettolosa stretta di mano data senza sentimento. Non ti avevo nemmeno salutato. E soprattutto non ti avevo detto un sacco di cose.
Cose semplici, banali, cose che ora vorrei che tu sentissi.

Ti chiedo scusa papà ora come allora in quella sala d’aspetto, ripercorro le nostre vite insieme. A volte piango e a volte sorrido. Spero possa farlo anche tu. E spero abbia perdonato l’incoscienza della mia sfrontata gioventù.

Un abbraccio forte e una vigorosa stretta di mano; grazie di essere stato mio padre.

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