Connect with us

2015 | Lettera di pancia

Caterina Scaramagli

Lettera finalista nella categoria Lettera di pancia.

Cara vongola verace (e vorace), dopo i lusinghieri commenti sulla mia cucina e le continue, esasperanti richieste di una ricetta che saresti riuscita a fare anche tu, squinternata amica così negata ai fornelli, eccoti finalmente accontentata. Ho escluso le ricette più difficili (per ovvia mancanza di competenze), poi le più banali (perché ti avrebbero annoiato), quelle con la carne (perché sei vegetariana) e mi sono concentrata su quelle a base di pesce, in ricordo del nostro incontro a Rodi.

Due sconosciute sedute allo stesso tavolo in una scalcagnata taverna sulla spiaggia, il mio timido “Posso farti una domanda?”. Il tuo cenno di assenso, accondiscendente.
“Perché se sulla maglietta c’è scritto 100% VEGETARIAN, stai mangiando uno spiedino di gamberi?”.
Hai fatto una faccia strana, buffa e ti sei messa a ridere.

È stata quella risata, in cui ho sentito profumo di arance rosse, notti bianche ed erbacea solitudine; quella risata ha risvegliato una fame atavica, che è partita dallo stomaco e non mi ha abbandonato per le due settimane che abbiamo passato assieme, condividendo lo stesso telo da spiaggia, lo steso cielo.
Che non mi abbandona neppure ora e anzi aumenta, mentre frugo tra i ricettari, riempiendomi gli occhi di lussuriosi pasticci e dolci tentatori, alla ricerca di qualcosa che ti comunichi ciò che non sono riuscita a fare io a parole.

La tua risposta semi seria alla mia domanda, una citazione: “Ebbene sì, mi contraddico! Sono vasta: contengo moltitudini” è bastata per dirmi tutto ciò che dovevo sapere.
Ovvero che sei folle, incoerente, imprevedibile come quel gatto ruffiano che prima di partire ti ha quasi strappato un occhio, dopo giorni di coccole e zuppe di latte. Non riuscivo a capirti allora, non riesco a farlo adesso. Sono empatica o forse indovina, leggo i pensieri delle persone nelle pieghe degli occhi, l’umore nella curva delle labbra. Con te non mi è mai riuscito. Non ho saputo decifrare il braccio che mi hai appoggiato sulle spalle dopo la prima di una delle innumerevoli serate passate a scambiarci pensieri lievi e ricordi rabbiosi, né quel tuo sguardo lungo che si è appiccicato ai miei occhi e me li ha portati via, quando davanti al traghetto ci siamo dette addio.

E allora ti mando un piatto che è come te, un guazzabuglio di sapori contrastanti che uniti formano qualcosa di irreplicabile. Compra, in quel mercato di cui tanto mi hai parlato, due grosse manciate di mazzancolle; chiedi di fartele pulire, che te non sei capace. Tornata a casa, ruba dall’orto di tua nonna, un paio di arance e un porro. Affetta la parte bianca del porro e falla appassire in un filo d’olio, aggiungi le mazzancolle pulite (lavale prima! Tutto mi tocca dirti…) e falle saltare qualche minuto a fiamma alta. Irrora con il succo di un’arancia e fai cuocere per un’altra manciata di minuti.

Getta un po’ di spinacini freschi in un piatto, aggiungi la scorza dell’arancia tagliata a bastoncini sottili sottili, condisci con olio, sale e pepe. Distribuisci sopra le mazzancolle. Assapora. Pulisciti le labbra. Sei impaziente, so già che ti sei stancata; appoggia allora coltello e forchetta e mangia con le mani, che sei sola e nessuno ti guarda. Solo io.

Tua Acciuga

Continue Reading

LEGGI LE LETTERE