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2019 | Lettera alla mia città

Carmela Angeramo

Lettera finalista nella categoria Lettera dal carcere.

Amore Mio.
Ecco due semplici parole che non avrei mai pensato di dire a qualcuno in carcere.
Ricordo la prima volta che ho visto i tuoi occhi, due pezzi di carbone lavico. Ti evitavo ma sapevo che quegli occhi mi si stavano incollando addosso.
Mi sono appassionata alla tua storia, alla tua vita per metà trascorsa tra le sbarre e il cemento.
Eri lì ora. Sei lì. Nel mio stesso perimetro con le tue semplici parole che trapassano ogni fibra del mio essere.

Ho guardato spesso le tue mani. Ho cercato di capire come era stato possibile che avessero impugnato un’arma.
Hai smontato le mie certezze una ad una. Hai demolito il mio muro e lo hai sbriciolato. Non mi fidavo di te ma sono restata perché sentivo che c’era un pezzo di strada da percorrere insieme. Cercare di entrare nelle pieghe della tua anima inquieta spesso mi ha fatto male. Ma ci provo ugualmente.

Tu non costruisci frasi dal periodare ampolloso come me. Hai una voce roca e profonda, a tratti quasi afona come se avessi passato parte dei tuoi giorni a urlare o gridare.
Ho intervistato tante persone che sono state in carcere molti anni, pensavo di saper distinguere una recita strumentale da un uomo che si ripiega su se stesso.
Quindi sono restata accanto a te. Così vicina. Così lontana.

Sei pioggia e sei vento. Sei il sole e l’Azzurro.
Non so dove ci porterà quel tunnel da cui poi attraverseremo quei cancelli. Forse a un ergastolo reciproco. E forse senza sconti di pena.

Carmela

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