2017 | Lettera a un cervello in fuga
Antonio Di Matteo
Lettera finalista nella categoria Lettera a un cervello in fuga.
Caro cervello in fuga, domani parti, di nuovo. Con la consapevolezza di essere riuscito ad incontrare tanti cari, nell’ennesimo ritorno alla base, che col tempo non riesci più a chiamare casa, perché casa è altrove, adesso. Non lo avresti mai detto, anni fa. Eppure. Ma di tutte le infinite combinazioni di universi paralleli, ci sarà anche quello in cui sei rimasto lì, alla prima casa, ed avrai trovato la felicità. Nel tuo universo parallelo, questo, non è andata così, nella catena quotidiana di coincidenze, avvenimenti, conseguenze, è successo altro, altri compromessi, altri equilibri, altre decisioni, conclusioni. Sei felice sì, ma altrove. A volte ci pensi, con quel retrogusto leggermente amaro di nostalgia e dubbio, per dimenticarlo l’attimo seguente quando la realtà delle cose ti richiama alla valigia, gli impegni, la serenità conquistata. Quel benessere che hai raggiunto, quel sorriso, va al di là di un’etichetta, al di là dell’essere un cervello in fuga, se la fuga era dall’incompiuto, dalla mancanza d’opportunità, stimoli, felicità. Hai dato pesi distinti nella bilancia dei compromessi personali, hai dato un peso distinto alla patria, quell’insieme di cultura, lingua, legami, compromessi, abitudini, memorie e progetti, il peso personalissimo che ognuno deve dare al sacrificio richiesto della propria dignità, dei propri sogni, dei propri sforzi universitari, lavorativi, familiari, un sacrificio che fa stringere i denti, partendo o restando, e che si vuole rispettare in nome di un’idea, una meta. Una scommessa. La scommessa che fai fatto, sul tuo miglioramento personale. Hai assegnato dei pesi, come fan tutti, per poi partire. O restare. Nessuno sbaglia, nessuno vince, perché sono pesi personali, come le scelte che ne derivano. Ed ecco perché non c’è nessuna “my country, right or wrong”, non ci sono eroi né vigliacchi, né tanto meno disertori, in un presunto dovere di restare, di non abbandonare il paese, di non lasciare il proprio posto a ciò da cui stiamo scappando. Semmai, il dovere dobbiamo averlo nei nostri confronti, nei confronti di quei progetti, quei sacrifici, quella scommessa: è il dovere di cercare di essere felici, tutto qui. Senza dover poi rompere equilibri creati faticosamente altrove per il mero principio di tornare, ma semplicemente pensare a quel dovere che parte dall’inseguimento di un sorriso: c’è chi lo trova in patria, chi altrove, perché la nostra felicità è soprattutto dove viviamo. O dove vivremo.Per questo, goditi questo viaggio, caro cervello in fuga. Di te scriveranno in tanti, di crisi generazionali di giovani dispersi, di indici economici che non tornano tra brain drain e brain gain, di società moderne e barriere dissolte, nel bene e nel male parleranno di te. O delle scatole in cui, in quel momento, sembrerà più opportuno sistemarti. Dimenticando però che in quelle scatole ci son persone, che quelle persone han bisogno di trovare un proprio equilibrio, di lavoro, di mentalità, di benessere. La nostalgia la porterai dentro ossidata sulle tue radici, mentre nuovi rami, nuove foglie nasceranno al sole delle nuove opportunità, altrove, perché le radici son sì necessarie, ma senza quella nuova linfa non avranno vita. E viceversa. La tua nuova pelle sarà più dura e la tua felicità meritata. Buon viaggio, dentro e fuori di te: non sei in fuga, sei solo in cerca di un sorriso.
