2009 | Lettera a uno straniero
Alessandra Rizzi
Lettera vincitrice nella categoria Lettera a tema libero.
Ponte San Pietro, maggio 2009
Nonna, a scuola un bambino mi ha abbracciato piangendo. Allora ci siamo seduti in cerchio e ho letto: “L’angelo del nonno” di Jutta Bauer.
Alla fine della storia piangevo anche io.
Tra le mani stringo un bigliettino che mi ha lasciato il bambino nell’astuccio. È scritto con un pastello azzurro e la matita, come piace a me. In riva al fiume, penso. Sono arrivata in bici. Lancio un sassolino, respiro. Non è passato molto tempo, mi dico. Mi sembra infinito. Ma la relatività e i suoi coniatori hanno già risposto, il tempo è relativo.
E questo ricordo è già custodito nel “cassetto delle cose preziose”.
Sono trascorsi poco più di sessanta giorni, ma quel luogo fa parte di quella “me bambina” e di quella “me ragazza”.
Una domenica di febbraio, uno di quei giorni di febbraio che si dimenticano, forse per sbaglio, forse perché come dicono alcune persone sul treno o alla fermata del pullman: “Non ci sono più le stagioni di una volta”, che è ancora inverno e allora sbocciano le prime gemme e il cielo si fa caldo, il sole azzurro.
Le due del pomeriggio, con la mamma vengo a salutarti. I dottori hanno detto che non manca molto; io credo a medicina non si studi la relatività del tempo.
E credo che i medici non abbiano letto “Momo” di Ende.
Il tuo corpo è trasformato, muta di ora in ora. Discosto il lenzuolo e riconosco le tue gambe bianche e lisce, di sempre. Il viso è sottile, lieve.
Quanto da raccontarti. Non parli, ma mi segui con lo sguardo.
Nel silenzio ti prometto di farti sentire per un’ultima volta il profumo della tua casa di campagna. Ti accarezzo nonna. Appoggio le labbra sulla tua fronte, ti bacio. Sorrido. “Aspettami” continuo a ripetere.
“Andiamo a casa tua e torniamo, aspettaci…” La mamma ed io, senza bisogno di spiegazioni a parole, raggiungiamo la macchina. Parcheggiamo e saliamo a piedi i “centi basei”, il pensiero si perde e mi addentro in un calcolo impossibile: quante volte li avrai fatti?
Correndo, saltando, camminando, portando il cesto con il cioccolato, lo zucchero, la farina e le stoffe da vendere sul monte, tenendomi per mano, da sola, con il bastone; con la neve, la pioggia, in primavera, d’autunno; pensierosa e spensierata. Quante volte? Quante volte ci aspettavi, nascosta dietro l’albero di cachi e la vite? Quante volte?
Non vedevo la casa da tempo. I cancelli sono chiusi. L’erba è molto alta.
Non c’è più il cane che abbaia scodinzolando, dalla finestra nessuno saluta.
Gli alberi non hanno ancora i frutti. Ma la natura continua a vivere anche senza l’uomo. Cerco le chiavi, quelle nascoste sotto la tegola, non ci sono più.
“Scavalco” dico alla mamma. Scavalco il cancello verde che si affaccia sui campi. Ricordi? Lei mi guarda, capisce. Sono già dall’altro lato della rete. Tuffata nei ricordi di quando giocavo da piccola, di quando venivo a trovarti la domenica, di quando all’università mi fermavo da te a preparare l’esame. Ricordi? Gli occhi sono umidi.
Raccolgo i rami di calicanto.
L’ultimo profumo che hai sentito..
L’avevo già superato quel cancello da quando non ci abiti, solo un’ altra volta con Alessio.
Tutte le altre volte l’ho trovato aperto.. Alessandra
