Edizione 20-21
Il testo della migliore lettera a tema libero

L’autrice della migliore lettera a tema libero della XVI edizione è la giovanissima Maria Lucrezia Summa. A dare voce alle sue parole è stata l’attrice, autrice e regista teatrale Laura Curino, accompagnata dalla fisarmonica di Sara Calvanelli che nota dopo nota, ha sottolineato il pathos di questa confessione-sfogo tra una figlia e la sua mamma.
Cara mamma,
sono io, tua figlia, anche se ho fatto tutto quello che una figlia non avrebbe fatto mai. Ultimamente ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima, mi sono fermata a pensare al dolore che ti ho causato quando sono andata via, e questo mi ha portata a scriverti. Con te non sono mai servite tante parole, mi hai sempre capita con uno sguardo, ma oggi le parole servono, perché gli occhi sono lontani. Ti ho sempre dato tutta me stessa mamma, in quando ho potuto, ma con il passare del tempo siamo passate anche noi, era inevitabile che accadesse. Ricordi quando ti parlavo della voglia che avevo di crescere? Ora sono cresciuta, e anche se sarà dura per te da accettare, sono diventata una donna. Sei sempre stata il mio esempio di quello che si dovrebbe essere nella vita, ma non ti somiglio neanche un po’: tu sei bella, determinata e composta, io sono un uragano che fa tutto d’istinto e senza mai pensarci due volte, anche se questa è una cosa che mi hai sempre invidiato, la capacità di non rimuginare su tutto. La qualità che però tanto mi invidi mi ha portata via da tutte le certezze che avevo, convinta di costruirmene delle altre; ma non si possono costruire certezze senza una base solida, l’ho imparato andando via di casa. Questa lettera però non vuole essere un ritorno alle vecchie certezze, sono consapevole di averle abbandonate, tornare indietro sarebbe da egoisti e ipocriti, ti scrivo solamente per scusarmi per tutto il male che ti ho fatto e per ringraziarti per tutti i sacrifici che tu hai fatto per me. Ti sei sempre fatta in quattro per non farmi mai mancare niente, ma sai bene che non ho mai preteso niente, ho sempre cercato di farmi andar bene quello che avevo, ma tu cercavi sempre di darmi tutto quello che non chiedevo. Quando avevi ancora il coraggio di parlarmi abbiamo condiviso risate e lacrime, anche se queste non volevo mai condividerle con te, perché ho sempre avuto la brutta abitudine di tenermi tutto il male dentro, ma tu insistevi per ore, a volte per giorni, per farmi tirar fuori mezza parola. Tante volte mi hai detto di aver sognato una vita diversa, una figlia diversa, e su questo non posso darti torto, so bene di non essere la figlia perfetta, né quella che avresti voluto, ma tu sai quanto ho cercato di migliorarmi, a volte ci sono riuscita, altre volte no, e l’hai visto bene. Nonostante questo mamma, mi hanno sempre associata a te, e capirai bene che questo mi ha reso la vita difficile, perché avere te come aspirazione mi ha portata solo a distaccarmi di più. Io non sono te mamma, non lo sono mai stata e mai lo sarò, e di questo ti chiedo scusa. Ricordi quando la felicità per noi fosse la pizza sul divano il sabato sera? Ora tutto quello che avevamo non c’è più, ma ti prometto che se mi rivorrai tornerò a trovarti e rifaremo tutte quelle cose che adesso sembrano così banali, ma che prima erano tutto per noi. So che non ti fidi più delle mie promesse, quindi non ti prometterò più, prometto a me stessa di coinvolgerti di più nella mia vita e di farmi sentire il più presente possibile perché dici sempre che senza di me la casa è vuota, e non ti nascondo che i sensi di colpa mi divorano per essermene andata in quel modo. Ma non sono mai andata via davvero mamma, tu lo sai, è solo passato il tempo ed è giusto che io prenda la mia strada, anche se l’ho fatto nel modo più brusco. Ti chiedo solo di accettare questo, di non portarmi rancore e di non abbatterti se non mi vedi in giro per casa seminando vestiti e filtri di tisane.
Ma come ultima cosa, la più importante, ti chiedo di prenderti cura di te, dopo aver passato tutta la vita a prenderti cura di me. Tra di noi hanno regnato tanti silenzi, troppo eloquenti per essere spiegati, oggi sono sola nella mia minuscola e fredda cucina a scriverti delle consapevolezze che avrei voluto trovare e di quelle che invece ho scoperto di avere sempre avuto: la consapevolezza di chi sono e di chi dovrei essere. L’assenza è deleteria e logora, ma prima o poi ci si abitua. Porterò con me un pezzetto di noi ovunque andrò mamma, perché oggi ti sento distante più che mai. Non preoccuparti per me, me la caverò anche da sola, come ho sempre fatto.
A presto, con amore
Edizione 20-21
I vincitori della XVI edizione del Festival

Si è conclusa oggi, sabato 11 dicembre, la sedicesima edizione del Festival delle lettere.
La Casa delle Arti di Cernusco Sul Naviglio si è animata delle emozioni contenute nelle lettere vincitrici interpretate sul palco da Laura Curino, Antonio Cornacchione, Max Pisu e Valerio Bongiorno, sulle note della fisarmonica di Sara Calvanelli.
Ancora una volta abbiamo avuto la conferma di quanto la scrittura epistolare sia capace di unire le persone e accorciare le distanze: ne sono testimonianza le centinaia di lettere iscritte al concorso e la risposta positiva del pubblico che è tornato a teatro per vivere dal vivo il coinvolgimento dello spettacolo conclusivo della manifestazione.
Questi i vincitori delle categorie in concorso e fuori concorso.
Lettera alla scuola (Vincitrice del premio Lettera d’oro) – Laura Musso
Lettera a tema libero – Maria Lucrezia Summa
Lettera Under 14 – Matilde Mezzetti
Lettera dal cassetto – Costanza Covelli
Lettera di un’adozione – Raffaella Villa
Sono stati consegnati anche due premi speciali: il Premio Writing the distance dedicato ad Anna Sachet è andato a Martina Dei Cas; il Premio alla libertà in memoria di Ettore Carminati è stato consegnato a Simone Rocchi. Al termine dello spettacolo Omar Fantini ha lanciato il tema dell’edizione 2022 del Festival delle lettere: LETTERA A UN INFLUENCER. Le informazioni per partecipare sono disponibili qui.
Edizione 20-21
Laura Musso vince il premio Lettera d’oro

È di Laura Musso, insegnante di Fossalta di Portogruaro, la lettera vincitrice della XVI edizione del Festival delle lettere interpretata sul palco della Casa delle Arti da Valerio Bongiorno.
Un testo ironico ma che ben testimonia l’importanza dei legami nati dentro la scuola e i ricordi che ad essa si legano e ci accompagnano a lungo nel corso della nostra vita.
La scuola è una stalker. Davvero Bibi. Pensaci un po’.
Ti accalappia fin da bambino e non ti lascia più. Anche quando tu la vorresti tanto lasciare. Niente, lei non molla, anzi, ti stringe di più tra le sue spire.
All’inizio è una sirena. Ha le sembianze di una maestra gentile ed accogliente che con le sue parole e il suo canto ti attira dentro stanze zuppe di colore, frastornanti di musica e di giochi, dense di tanti altri bambini risucchiati dentro come te. E quando tu sbatti piedi, sferri pugni e strilli che te ne vuoi andare a casa dalla tua mamma, lei ti convince che “LÌ“, proprio lì, puoi essere felice. Finisci per crederci. E te ne stai “lì” per tre anni. Pensi che poi sia finita. Macchè. Ecco che ne arriva un’altra, di scuola. Ti dicono che imparerai a leggere e a scrivere, che collezionerai altri amici, che farai cose molto interessanti, che bla, bla, bla. E intanto passano altri cinque anni. Altre stanze, altri colori, altre sirene, altri compagni di sventura. Ne esci che a noi femmine sono spuntati in viso mascara e rossetto (e tanto altro altrove) e ai maschi baffetti e brufoli (e tanto altro altrove). Alla secondaria di primo grado della scuola non è che ti interessi un granchè. Passi altri tre anni a pensare a tutto, fuorchè ai libri. Hai un corpo che non è più il tuo, puzzi come una capra e le aule a volte si trasformano in camere a gas. Per comunicare non usi più bocca e voce, ma dita e telefonino. Le rare volte in cui parli, lo fai peggio di quando avevi due anni e dicevi parole a metà: “TRANQUI… RAGA… OGGI SONO DEPRE”. Tipo così. Già, “TIPO, TIPO, TIPO” dappertutto! Ma quando i tuoi ti urlano che la scuola non serve proprio a niente e tu ci vai solo per scaldare il banco, succede che sprechi l’occasione d’oro per liberartene. Sì, perchè finisci per difenderla, la scuola. Perché lì ci sono i tuoi amici, lì ci sono le “sireneprof“ che, sì, ti daranno anche quella palla di roba da studiare, ma ti ascoltano pure, qualche volta magicamente ti capiscono, sopportano con pazienza la camera a gas. E poi cominci a comprendere che se tu ti senti sfigato, alla fine non sei solo, ci sono sfigati più sfigati di te che sono diventati anche famosi e te li fanno studiare per secoli… Leopardi, tipo. Quando poi la scuola finisce di essere obbligatoria e tu potresti sbarazzartene per sempre, accade una cosa terribile: tu la “SCEGLI” ancora. La vittima che sceglie il carnefice. Così passi la tua giovinezza tra Superiori ed Università. La tua vita scorre parallela alla vita della scuola. La scuola diventa una specie di amante: ti sta sempre accanto, nutre il tuo bisogno di conoscere, discute con te di tutto, apre la tua mente, ti porta a feste e ad incontri con altri, anche all’estero, ti aiuta a crescere. È in questo periodo che ci siamo conosciute, ricordi? Con la laurea sarà finita, pensi. Squisita ingenuità. Invece la scuola ti manca. E quando, piano piano, la vita-senza-scuola prende il sopravvento, lei, la scuola, rimane comunque sullo sfondo. Esempi. 1.Viaggio, Atene. L’Acropoli, Il Partenone: bello, l’ho studiato a scuola! Ecco, la scuola viaggia con te. 2. Matrimonio. Chiesa, invitati, amici, parenti. Il sacerdote… è il tuo prof di religione delle superiori. La scuola è al tuo matrimonio. 3. Squilla il telefono: aperitivo con le ex compagne di classe? Certamente! La scuola si prende uno spritz.
Domanda Marzulliana : ma è la scuola che non ti molla o sei tu che non la molli mai?
Sto ancora cercando risposte. Beh, intanto ti saluto. Ci vediamo al Collegio Docenti.
Laura
Edizione 20-21
Premio speciale Writing the distance

Anche in questa XVI edizione del Festival abbiamo voluto consegnare il Premio speciale Writing the distance, dedicato ad Anna Sachet, a quella lettera capace di annullare le distanze attraverso la diffusione di un messaggio di inclusione, integrazione e vicinanza.
Il premio è stato assegnato alla lettera scritta da Martina Dei Cas, trentenne di Ala (TN) che ha voluto dedicare il suo scritto a tutti i bambini e i giovani che a causa della guerra si vedono negato il diritto all’istruzione e alla serenità e spensieratezza che meriterebbero alla loro giovane età.
Parole che commuovono e fanno riflettere, interpretate nel corso dello spettacolo da Antonio Cornacchione.
Cara scuola che non ci sei più,
Eri bella come un castello, con il portone spalancato sull’orto botanico e le finestre aperte per lasciar uscire le note della nostra orchestrina. Fuori apparivi seria, eppure dentro eri tutta una musica. C’erano le palline da tennis che rimbalzavano sul telone della palestra, gli alunni del primo anno che si rincorrevano nei corridoi, i gessi che stridevano sulle lavagne, i piccioni che si contendevano le merende cadute e le api che ronzavano intorno al mazzetto di fiori freschi che il bidello metteva sulla cattedra ogni mattina. Amavo tutto di te. Persino i calcinacci che avevano sfondato il mappamondo in fondo alla classe quando ti era caduta in testa la prima bomba. Avevamo deciso di tenerli a futura memoria, ma la verità è che nel giro di una settimana erano diventati troppi per toglierli. Hai resistito, con i corrimani di corda al posto di quelli di pietra e i sacchi delle immondizie a coprire i vetri che non c’erano più. Dal tetto abbiamo tolto il gazebo che serviva da aula magna e abbiamo scritto il tuo nome con la vernice rossa. Speravamo che gli angeli e i piloti di guerra lo vedessero e tirassero dritto. Ma forse c’erano troppe nuvole e così un giorno sei venuta giù. Adesso quel che resta di te è grigio, silenzioso, vuoto. Nemmeno quando è caduta la mia casa, con la nonna in cucina e il nonno ancora nel letto, ho pianto così tanto. Sai, prima di scappare, ti ho strappato un sussidiario dalla pancia. Era del mio compagno di banco, ma quando gliel’ho riportato, la sua mamma mi ha detto che a lui non serviva più. E che io non potevo morire prima di averlo finito. Adesso viaggiamo nella stessa colonna, diretti verso un Paese che non conosco. Tutti abbiamo perso qualcosa. Il bidello una gamba. La maestra la vista. Il primo giorno di scuola mi sembrava una fata, avvolta in un lungo vestito di seta verde. Quando la guardo adesso invece vedo una strega, smunta e spettinata. Vorrei scappare via, ma poi comincia a parlare, a recitare poesie e allora, cara scuola, io mi rendo conto che tu ci sei ancora. Nella sua voce che trema, ma insegna. Nelle mie mani che sanno scrivere, nelle mie dita che hanno imparato a contare e nei miei piedi che disegnano sulla sabbia. Nei miei occhi che non vedono l’ora di tornare a leggere e nella mia gola, che è secca, ma canta. Perché a noi bambini non servono scuole belle come castelli, ma adulti coraggiosi, che ci aiutino ad imparare anche nelle circostanze più avverse. Perché tu, cara scuola, non sei un luogo. Ma un sogno fragile. L’unico capace di cambiare in maniera durevole il destino di popoli e Paesi.
Maria Rossi (Milano, 1944),
Dajana Dukovic (Sarajevo, 1992),
Jaden Qasim (Sanaa, 2015),
Karam Al Numan (Idlib, 2020)
e altri 27 milioni di firme.
Quelle dei bambini e delle bambine che oggi nel mondo, a causa della guerra, si vedono ancora negato il diritto all’istruzione.
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